Si intitola “The Dustronomist”, l’album di debutto di Dee Jay Park, dj e turntablist triestino, uscito lo scorso 8 marzo su Orange Cut Records. “The Dustronomist” spazia tra trip hop e boom bap e dove a farla da padroni sono break di batteria, scratch e tappeti di frammenti sonori. Di sicuro è lo scratch un elemento più che distintivo di quest’album, fattore quest’ultimo ancora più degno di nota se si pensa che è stato realizzato da un ragazzo di ventinove anni. È il momento di conoscerlo meglio con le sue risposte in 60 secondi.
foto di Francesco Marongiu
Innanzitutto perché l’alias Dee Jay Park?
Mi piacevano i Linkin Park quindi ho preso Park con la J- davanti perché faceva figo. Si scriveva J-PARK tutto in maiuscolo poi DJ J-PARK era brutto quindi sono diventato Dee Jay Park. Almeno questo è il motivo che mi ricordo.
Che cosa significa The Dustronomist?
Dust, polvere, perché il suono dell’album The Dustronomist ha quel che di polveroso, di antico se vogliamo. Astronomist, l’astronomo perché ci sono atmosfere che ho definito spaziali, molto oscure. Queste due parole unite danno The Dustronomist: il produttore/beatmaker che combina cose che appartengano a mondi diversissimi tra loro.
Da dove nasce la tua passione per lo scratching e per campionamenti?
Avendo un fratello di 9 anni più grande, ho passato l’infanzia davanti a MTV: ho ricordi che non so collocare di me che gioco con gli irrigatori, di quelli che girano spostandoli con le mani e facendo uno scratch con la bocca. Il campionamento penso sia arrivato sentendo per la prima volta Endtroducing di DJ Shadow.
Non vorresti magari essere vissuto trenta/quarant’anni fa?
Da un lato forse non mi sarebbe dispiaciuto vivere trent’anni fa, dall’altro avrei avuto contaminazioni completamente diverse, visto che alcuni dischi per me fondamentali non erano ancora usciti trent’anni fa. Forse sarei stato sempre via di casa: un pessimo fratello per mio fratello.
Passiamo alle canoniche domande di 60 Seconds. Il primo disco che hai comprato?
Cold Sweat pt.1 & 2 (1967) e Hot Pants (1971) di James Brown. Mi dissero che c’era un negozio di dischi vicino a casa e con i soldi regalati a Natale andai a prendermi i primi dischi di James Brown che trovai.
I tuoi idoli quando eri agli inizi?
DJ Q-Bert, senza ombra di dubbio. Da più di trent’anni è più di trent’anni avanti a tutti.
Se non fossi diventato un dj adesso saresti…
Un fioraio oppure quello che duplica le chiavi.
Che lavori hai fatto prima di diventare un dj ed un producer a tempo pieno?
Ho la fortuna di poter bilanciare djing e lavoro full time: sono un programmatore.
La cosa più pazza che hai fatto con i primi soldi guadagnati con la musica?
Bere.
La tua serie tv preferita?
Breaking Bad e Better Call Saul. Come chiedermi se voglio più bene a mamma o a papà.
Il tuo rapporto con i social?
Non mi vergogno a dire che devo molto ai social. Mi hanno aiutato ad avere contatti difficilissimi senza di loro. E come tutte le cose bisogna non soltanto saperle usare, ma usarle correttamente per i giusti scopi.
I tuoi hobby?
Parlare di wrestling e cucinare. Spesso dico che se mi chiedessero di scegliere tra la musica e il wrestling dovrei pensarci TANTO.
Che cosa suggerisci ai giovani che vogliono diventare dj e producer?
Fate, studiate, ascoltate, guardate i video degli altri, non fatevi pippe sulla strumentazione. Dimenticatevi tutto quello che avete visto e provate a rifarlo; trovate qualcuno vicino a voi del quale vi fidiate e che non abbia paura di dirvi le cose come stanno. Mettetevi in discussione e fate uscire ciò di cui siate veramente sicuri.
Un errore che non rifaresti?
Sono indeciso tra l’aver aspettato tredici anni per uscire con il primo disco, oppure l’aver scelto un nome che non viene quasi mai scritto correttamente.
La scelta migliore della tua vita?
Fare musica.
29.03.2024