foto: ufficio-stampa Hunter/Game
Si intitola ‘VISION’ il nuovo album degli Hunter/Game, duo milanese formato da Martino Bertola e Emmanuele Nicosia, album uscito da poche settimane sulla loro etichetta discografica Just This. Per loro si tratta del terzo lavoro da studio e che conferma la loro attitudine a declinare la musica elettronica in svariate modalità. Un approccio alla materia che li ha portati a suonare a festival come Tomorrowland, Sónar e Zamna Tulum e in club quali fabric a Londra, DC10 a Ibiza e al Brooklyn Mirage a New York. Conosciamoli meglio con le loro risposte in 60 secondi di Martino Bertola.
Il primo disco che hai comprato?
‘The Fat of the Land’ dei Prodigy (1997). È un album che ha segnato la mia infanzia: lo aveva comprato mio padre quando avevo appena otto anni e ricordo ancora adesso il giorno quando l’ho ascoltato la prima volta. Era una musica completamente nuova, qualcosa di mai sentito prima, soprattutto per un bambino delle elementari quale ero io all’epoca.
Il tuo idolo quando eri agli inizi?
Sia a me sia ad Emanuele è sempre piaciuto Sven Väth, con il suo stile unico nel mixare e per il carisma che lo contraddistingue. Se penso a chi ci abbia influenzato maggiormente nella creazione del nostro progetto, direi senza dubbio gli artisti di Border Community e Trentemøller.
Se non fossi diventato un artista adesso saresti…
Mi sono sempre visto come un artista, probabilmente farei qualcosa legato al cinema o all’arte contemporanea.
Che lavori hai fatto prima di diventare un dj ed un producer a tempo pieno?
Quando ho iniziato la carriera ero uno studente universitario e lavoravo per club milanesi come il Tunnel ed i Magazzini Generali. Facevo il promoter e volantinaggio; la paga era bassa ma la sera potevo vedere tutti i djs per capire come funzionava quel mondo.
La tua serie tv preferita?
Sono un appassionato di cinema e trascorro molte ore tra aeroporti e hotel, quindi ho visto davvero un’infinità di serie. Tra tutte, quella che mi è piaciuta di più è probabilmente The Wire, seguita da Breaking Bad. Per ogni genere avrei sicuramente una serie da consigliare.
Il tuo rapporto con i social?
Mi piace condividere con le persone i progressi del nostro progetto, i viaggi che intraprendo e i luoghi dove suono. Penso che anche il modo di esporsi, di vestirsi e di interpretare il mondo sia strettamente legato alla propria idea di arte e a ciò che si vuole trasmettere al pubblico.
I tuoi hobby?
Per rilassarmi davvero dopo un tour, mi piace ascoltare i miei vinili sull’impianto hi-fi di casa; sono un collezionista piuttosto appassionato, quasi maniacale. All’inizio della mia carriera utilizzavo i vinili per mixare durante le serate, con l’avanzare della tecnologia sono passato ai CDJ ma non ho mai perso l’abitudine di comprarli. La mia collezione si concentra principalmente su generi diversi rispetto alla musica che suono attualmente: è soprattutto un mix di ambient e breakbeat, con forti influenze UK.
Che cosa suggerisci ai giovani che vogliono diventare dj e producer?
È importante essere sè stessi e non lasciarsi influenzare dalle mode del momento. Se una persona si sente un vero artista, nel tempo avrà l’opportunità di emergere, soprattutto proponendo lavori autentici e non copiando gli altri. Infine, è fondamentale trascorrere ore e ore davanti al computer, imparando nuove tecniche e metodi per completare una traccia. Soltanto con esperienza e tecnica si riesce a trasformare le idee in qualcosa di davvero artistico.
La scelta migliore della tua vita? E l’errore che non rifaresti?
Io e Emmanuele abbiamo sempre cercato di non scendere a compromessi quando si è trattato di creare la nostra musica. Sono soddisfatto del percorso che ho intrapreso, anche se a volte è stato difficile: con scelte più commerciali, avremmo potuto raggiungere un pubblico più ampio. Sono felice di dove sono arrivato, senza ricorrere a scorciatoie, il nostro cammino è stato autentico. È un luogo comune, ma davvero non cambierei nulla delle esperienze che mi hanno portato a diventare quello che sono oggi.
08.02.2025