L’esordio sull’americana Nervous Records per il duo di produttori Arduini & Pagany è la conferma che l’eccellenza esportabile del nostro Paese non passa solo attraverso gli atelier e le griffe di moda e le cucine degli chef stellati ma anche dagli studi di registrazione di professionisti altamente competenti. Un brano soulful cantato da una madrelingua come Chanelle e remixato dal leggendario Eric Kupper è la dimostrazione che anche con una cover di un brano house degli anni Novanta, portata alla ribalta da Juliet Roberts, si può andare lontani.
Il rifacimento di ‘Caught In The Middle’, realizzato in tre versioni, già al vertice della Top 100 Soulful di Traxsource, suggella il lavoro ultra decennale di Roby Arduini e Mauro Pagany, che, dopo aver dedicato tanto tempo alla discografia (altrui) con la loro Distar, hanno pensato di mettersi in gioco come artisti. Non vogliono classificarsi in un unico genere musicale, i due, ma fare quello che hanno sempre fatto come produttori: divertirsi e fare la musica che più gli piace.
Qual è il vostro background e le origini del vostro studio di registrazione A.R. Production?
Siamo arrivati a dirci ‘facciamoci uno studio’ dopo un concerto di Peter Gabriel all’Arena di Verona. Veniamo entrambi dagli studi (di registrazione) classici con il banco regia che occupava il 70 per cento dello spazio, con tastiere, outboard, cavi e altro. Da molti anni siamo passati all’essenzialità degli studi midi, dove il setup base è il computer con un buon desk e dove trovano sistemazione master keyboard, monitor e casse. L’equipaggiamento è abbastanza standard, ovvero computer Apple Mac Pro con software Logic X con vari plug e Vst, scheda Audio RME Fireface 800, monitor Yamaha NS10 e KRK per avere un confronto di ascolti.
La parte acustica della stanza, chi l’ha curata?
Quella rimane sempre abbastanza dispendiosa se si vuole uno studio con un suono ottimale. Abbiamo investito più tempo che denaro, si parla di qualche migliaio di euro e qualche… migliaio di ore.
Su cosa siete specializzati tecnicamente?
Veniamo dalla vecchia scuola quindi fondamentalmente abbiamo imparato tutto sul campo. Come progetto artistico Arduini & Pagany, le nostre produzioni girano nel mondo house che va dalla tech al funky, soul, deep, Disco. Senza molti vincoli o paraocchi, facciamo quello che ci piace. Come produttori per le nostre label, spaziamo, come facciamo da anni, dalla pop dance alla house, sino alla lounge e all’elettronica in generale.
Siete interessati quindi a più generi musicali?
Sicuramente ci piacciono quei produttori appartenenti al mondo pop e pop dance, tutto quel giro di songwriter americani che di notte scrivono le ‘six hours songs’ che poi diventano le hit mondiali di grossissimi nomi. Recentemente abbiamo anche scoperto che tra di loro ci sono anche degli italiani e questo ci fa piacere sia perché siamo patrioti sia perché li conosciamo. Sul club ci ripetiamo dicendo che ammiriamo i nomi storici da Morales a Joey Negro, fino ad arrivare a Solomun, Purple Disco Machine passando anche per nomi che arrivano da anni dal nord Europa che hanno fatto scuola e inventato un genere.
Curate anche produzioni per terzi?
Il lavoro conto terzi non lo seguiamo nel senso che anche se inizialmente gli studi erano strutturati per fare pure registrazioni per altri, poi col tempo ci siamo accorti che il gioco non valeva la candela. Molto tempo viene investito per budget sempre più ridotti. Per noi molte ore sono impiegate per fare lavori che fruttano relativamente poco. Risultato? Stress alto e zero convenienza. Ci sono così tante strutture che ormai lavorano sottocosto che anche il conto terzi ha prezzi da discount e sinceramente con il nostro know how e background non possiamo far parte di gare al ribasso.
Come immaginate tecnicamente il sound house dei prossimi anni?
Analizzando la musica house degli ultimi 10 anni, un cambiamento effettivo non c’è stato. Se si ascolta Traxsource si trova ancora in esso il 70 per cento di tracce fatte da sample di pezzi Seventies come avveniva vent’anni fa. Su Beatport c’è la house con i loop di Loopmasters, Vengeance. Poi arriva la Glitterbox con la Disco anni Settanta. La maggior parte tech-house è ridotta a un groove e un giro di basso. Per i prossimi dieci anni possiamo andare avanti così.
Mauro, quali sono i ruoli delle persone che operano negli studi?
I nostri ruoli sono organizzati e collaudati dal 1990. L’idea del brano viene sviscerata e provata in varie vesti sapendo già dove vogliamo arrivare. Roby che è musicista interpreta e mette insieme idea e punto di arrivo. Io come dj, curo la parte della stesura con un orecchio teso alle esigenze del club o a quello che gira maggiormente su Spotify. Una cosa che ascoltiamo raramente e non seguiamo nelle produzioni è la radio, non per poca considerazione ma perché quello che senti in radio in Italia non è quello che interessa a noi né spesso quello che va nel mondo.
Roby, come organizzi la produzione?
Dipende ovviamente dal tipo di brano che vogliamo fare. Fermo restando che per tutte di base partiamo da un idea, concetto che non ci stancheremo mai di ripetere. Nel caso di tracce club, ascoltiamo un po’ di pezzi insieme in studio per entrare nel mood da club e poi iniziamo a stendere una ritmica su cui far girare l’idea. Per i prodotti più pop dance che necessitano di vocal, sempre se la voce non è l’idea da cui partiamo, ci rivolgiamo ai nostri cantanti e songwriter, ai quali inviamo un rough mix su cui possono scrivere testo e melodia da sottoporci. Successivamente, si procede in stretto contatto fino a che non siamo tutti convinti al 100 per cento.
Come nasce una vostra produzione?
Sempre allo stesso modo dal lontano 1990: dall’idea. L’idea può essere una melodia, un loop, una linea di basso, un film. Qualsiasi ispirazione che possa accendere la lampadina. Se manca quella, non ha senso iniziare a far girare un groove per poi sperare in un giro di basso e non sapere poi dove vuoi andare a finire e su che basi. Stiamo anche lunghi periodi senza produrre fino a che non ci arriva un’idea, che poi valutiamo, proviamo, elaboriamo e in alcuni casi mettiamo nel cestino perché non ci ha data l’effetto sperato. Da lì si riparte alla ricerca di nuovi stimoli e idee.
Nonostante le mode del momento o i nomi che adesso sono sulla bocca di tutti, rimanete legati a chi ha una storia importante?
Restiamo legati verso quelli per cui nutriamo un rispetto enorme, quindi nomi come quelli poco fa citati David Morales, Joey Negro per gli storici e Purple Disco Machine o Solomun.
La crisi discografica e produttiva è relativa?
C’è crisi se si ragiona in modo classico. Se si ragiona con la mente nel 2019, quindi nel mondo digitale, la valutazione cambia. Detto ciò, per noi poco cambia sulla base di ogni progetto musicale che iniziamo. Che per noi è e rimane sempre l’idea. Se per noi è vincente, il lavoro rotola abbastanza facilmente dalla produzione alla promozione successiva. Sempre se l’idea è forte, anche la produzione viene abbastanza semplice avendo ovviamente le idee chiare su dove si vuole arrivare come suoni e mood.
Sperimentate sempre?
Nel possibile, sia a livello sonoro mescolando e modificando i preset degli strumenti, che cercando suoni che ci soddisfano. Ascoltiamo molto vari generi e vari produttori non per copiare ma per ispirarci ed avere vari input che poi elaboriamo a nostro gusto. L’intervento analogico è ridotto praticamente a zero, in questa fase. Rare volte colleghiamo alcune macchine che abbiamo da anni in studio come Roland Super Jupiter, Jupiter 8, TR909. Ma lo facciamo più per produzioni esterne dove il produttore ce lo richiede.
Principalmente, che software usate?
Siamo ormai da anni utilizzatori di Logic e da non molto siamo passati a Logic X. Ci abbiamo messo un po’ più che altro perché con Logic 9 avevamo ormai acquisito una velocità di lavorazione che ci soddisfaceva; così, abbiamo aspettato di avere un momento più tranquillo in studio per passare al cambiamento a Logic X, che, inevitabilmente, per un certo periodo iniziale, ha rallentato un po’ il lavoro.
Non c’è trucco, non c’è inganno, nella produzione?
Per far suonare i pezzi il trucco è risaputo, ovvero fate il confronto con pezzi di altri, magari delle hit, che vi suonano bene. Per fare pezzi di successo ci verrebbe da dire: fate un pezzo a caso e compratevi follower e download sui portali e date coedizioni alle radio. Ma non lo diciamo perché si sa che non lo fa nessuno e noi non diciamo bugie. Il trucco rimane sempre quello: fate delle tracce che prima di tutto piacciano a voi e che in una serata, se fate i dj, suonereste per riempire la pista.
26.09.2019