• SABATO 23 NOVEMBRE 2024
Interviste

Alla scoperta dei Queen of Saba

In occasione dell'uscita del loro nuovo album, Medusa, abbiamo avuto l'occasione di fare quattro chiacchiere con i Queen of Saba

Foto: Le Scapigliate

Alieni in un mondo che spinge al binarismo, i Queen of Saba si presentano con colorata irruenza per smantellare i dogmi di genere ed esplorare le infinite sfumature della musica. Duo elettronico con un’anima analogica composto da Sara Santi e Lorenzo Battistel, si cibano di influenze Neo-Soul, alternative R&B, Disco Pop, Hip-Hop e Indietronica.

Li abbiamo incontrati in occasione dell’uscita del loro nuovo album ‘Medusa‘, ne è nata una conversazione dove abbiamo parlato di cosa significa per loro l’attivismo, dei loro riferimenti, di Salmo e di Tananai.

Progetto grafico a cura di Barbara De Vivi, Giorgia Florenzano, Ilaria Zambon

Parto da una domanda che di norma non faccio ma che in questo caso per me è importante, perché si lega ad una mia “fissazione” personale, che è il titolo. Perché ‘Medusa’?
S: Uno dei primi libri che mi regalarono era di mitologia greca, quindi sono molto legato a questo mito. Aggiungi poi anche che il disco precedente, si chiamava ‘Fata Morgana’: entrambe le figure sono donne bistrattate dalla storia, raccontate come cattive, mentre per noi sono donne con dei poteri, difficili da comprendere e quindi demonizzate. Medusa in particolare, rifacendosi all’iconografia più antica, era raffigurata come androgina con seno femminile e barba. Per noi è stato un click, perché si tratta di un corpo non conforme, e come tale non si adatta ad una norma imposta dall’esterno. È un invito a liberare il mostruoso dentro ciascuno. Il titolo viene dall’ultimo brano, e nella canzone è una persona a cui io canto, è una figura femminile non normata, che non pietrifica ma scioglie con gli occhi. Nel momento in cui prendiamo uno spunto del genere e lo mettiamo come titolo del disco, assume un altro significato. “Medusa”, il disco, è dedicato a persone come noi, un safe space per chi si sente a proprio agio nel vivere la propria mostruosità.

 
La domanda è, a questo punto, che rapporto avete con l’attivismo? 
S: “Medusa” è un album che deve essere contestualizzato nel presente, i testi e la musica non vengono da un vuoto cosmico, ma da due persone che prendono sul serio l’attivismo intersezionale. Abbiamo alcune canzoni come ‘Sentimi Sentimi Sentimi’ che vuole essere una richiesta di ascolto di tutte quelle istanze che fanno fatica ad entrare nel mainstream e, se lo fanno, passano attraverso varie forme di washing. Anche in questi giorni di presentazione del disco, che sono stati quelli delle manifestazioni pro-palestina; noi non siamo riusciti a partecipare, ma i luoghi dei release party sono diventate delle bolle di resistenza. Questo esempio mi da la dimensione di quanto ci sia bisogno nel panorama musicale di dare voce alle persone. E non è una questione di empatia ma di responsabilità. Abbiamo una piattaforma che altri non hanno, e questa è una fortuna, possiamo andare in giro per l’Italia a portare anche concetti e contenuti. Non solo come megafoni di noi stessi, non vogliamo farci belli, ma veniamo da contesti di un certo tipo e ci siamo formati in luoghi dove questi temi esistono e li portiamo dietro come parte di noi. È necessario, anche sul palco, perchè non tutti ne hanno la possibilità.
 
 Tananai e Salmo sono due nomi a cui ho pensato ascoltando ‘Rave in the Casba’, sono riferimenti campati per aria ?
 S: È palesemente un omaggio, al limite del plagio, a ‘HO PAURA DI USCIRE’ e ‘MAMMASTOMALE’ di Salmo. Questa idea di riprendere due brani con una chiave pop e hip hop in una canzone che parla di salute mentale, ci piaceva molto. Poi io sono molto fan suo. Tananai, davvero io quando ho scritto quella canzone ascoltavo solo musica techno e ‘BABY GODDAMN’ di Tananai. Quello è veramente un pezzo forte.
 
Quando stavate producendo il disco avevate dei riferimenti in mente?
 L: ‘Medusa’ parte da una ricerca di ritmi africani esistenti, tantissime canzoni nascono così. È stato un lavoro particolare, non siamo partiti da delle reference ma da una trasformazione melodica della ritmiche. Poi ovviamente ci sono degli artisti di riferimento, ma è difficile individuarne perché ascoltiamo tantissima musica, di tutti i tipi. Mentre per il disco precedente avevamo delle reference precise come per esempio Dua Lipa, qua non mi sento di dire qualcuno o qualcosa di preciso. Anche per questo il processo di mixaggio è stato più difficile perchè non avevamo dei riferimenti precisi che ci indicassero una strada. Il disco svaria molto.
 
A tal proposito le produzioni mi sono sembrate molto stratificate.
Come ci avete lavorato?
L: Tante canzoni sono nate da esperimenti sonori che poi sono passate al vaglio del confronto reciproco, e da questo si sviluppava. Ogni brano ha una sua storia ma poi tanti sono nati così. Due brani li abbiamo lavorati con Ale Bava, con cui ci siamo incastrati in questo processo di sperimentazione ritmica, e Ale ci ha dato una mano a dargli una direzione. Il nostro processo è fondamentalmente questo, anche semplicemente chiacchierando in macchina e sviluppando idee.
 
Parlando invece di Bigmama, cosa vi è interessato di lei?
L: Big Mama l’abbiamo conosciuta perchè gravitiamo attorno alla scena queer italiana, e ci siamo ritrovati ad aprire un suo concerto e ad aprire MYSS Keta insieme. C’è stata questa dinamica da backstage molto bella, e abbiamo fatto amicizia. Lei è incredibile, è originale, tratta temi che stanno vicino a noi, e in una forma totalmente personalizzante: fa attivismo in quanto persona con un corpo non normato, lei veste la bandiera che porta, nel modo di scrivere e di stare sul palco. Ci ha colpito molto quando l’abbiamo vista sul palco e da lì è stato semplice coinvolgerla. Le collaborazioni non sono placement editoriali, ma featuring che nascono da stima reciproca.

 

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