Foto: Riccardo Diotallevi
Producer, mixer and engineer: così Marta Salogni viene presentata nella intro della sua biografia. Titoli, ruoli e qualifiche che l’hanno portata a lavorare insieme a Björk, Depeche Mode, Holly Herndon e tantissimi altri ma che spiegano soltanto in minima parte il livello e la qualità di un’artista nata a Capriolo, in provincia di Brescia e da anni trasferitasi a Londra dove al mixer ha davvero visto e sentito di tutto. La sua performance lo scorso novembre a Milano per Inner_Spaces e Linecheck durante la Milano Music Week è stato un ottimo motivo per ascoltarla ed intervistarla ed avere risposte in grado di dare una prospettiva, una visione d’insieme, punti di vista che sappiano andare sempre oltre.
Com’è stata la performance ad Inner_Spaces? È stata la tua “prima volta” in Italia?
La mia prima performance in Italia è stata a Spettro, in provincia di Brescia, nell’estate del 2021 dove ho suonato delle macchine a nastro con Francesco Fonassi, come chiusura della mia residency di 3 giorni e da dove è nata la nostra cassetta ‘l’ebbrezza delle grandi profondità’ ispirata dal libro di Jacques Cousteau ‘Il Mondo Silenzioso’. Inner_spaces è stata la mia prima performance solista in Italia, con il mio album ‘Music For Open Spaces’. Si è trattato per me un’occasione molto speciale: sono scesa apposta da Londra da sola in macchina con le mie tape machines, 4 in tutto, ed ho guidato fino a Milano facendo sosta in posti sperduti in Germania. Un vero e proprio pellegrinaggio.
Prima volta e anche ultima, per certi aspetti.
Avevo deciso che sarebbe stata l’ultima volta che avrei suonato ‘Music For Open Spaces’ dal vivo. Per quello ci tenevo molto ad avere le mie tape machines personali sul palco insieme a me. Ora il disco può continuare a vivere nella vita delle persone e io posso guardare al futuro.
In assoluto un disco ed un live perfetto che caratteristiche devono avere?
La perfezione per me sta nell’imperfezione; se un concerto è troppo perfetto non riesco a stabilire quella connessione umana che per me sta alla base della musica dal vivo. Voglio poter percepire le emozioni, l’ansia, l’attesa, le paure e la gioia dell’artista sul palco.
Un ingegnere del suono in che cosa può e deve fare la differenza? Nel bene e nel male…
Deve far sentire la sua mancanza quando non c’è. E quando c’è deve diventare tutt’una/o con la musica, così da risultare quasi un’entità invisibile alle orecchie di chi si immerge nello spettacolo. È qui che si crea la magia della sospensione della realtà.
Che differenza riscontri tra la musica elettronica d’ascolto e quella da ballo?
Credo che una abbia a che fare con la riflessione, una con l’evasione. Quando ballo, non voglio pensare a nulla. Quando ascolto, mi trovo a riflettere più profondamente.
Che musica ascoltavi da teenager? E adesso?
Einstürzende Neubauten, Verdena, Marlene Kuntz, Afterhours, Sonic Youth, Nurse with Wounds, Broadcast, Add N to (X), Blonde Redhead, tante band. Ora ascolto tantissima musica, la più varia, sia per lavoro ma sempre per piacere. Uno dei miei dischi preferiti rimane ‘Spirit Of Eden’ dei Talk Talk.
Il tuo rapporto con i social?
Credo siano importanti per raggiungersi a vicenda, contattarsi da un capo all’altro del mondo. Credo sia anche importante non perderci troppo tempo senza motivo: ne va della creatività e dell’attenzione.
Qual è stato il tuo percorso di studi e quello professionale? Come hanno convissuto e convivono nel tuo caso teoria e pratica?
Ho imparato le cose più importanti con l’esperienza, sul campo, sia nel live sia poi in studio. Ho fatto un breve corso a Londra di nove mesi sulla teoria del sound engineering da studio e poi mi sono buttata subito nella pratica.
Londra è sempre la capitale mondiale della musica?
Londra, con New York e Los Angeles, rimane uno degli epicentri più importanti per la musica ma esistono molte altre città che hanno realtà musicali fortissime come Chicago, Berlino e Milano.
Con la Brexit che cosa è cambiato?
La Brexit è una colossale rottura di palle burocratica, uno sbaglio immenso che è successo e del quale praticamente tutti – quelli che hanno votato a favore – si pentono.
A che punto siamo con il gender gap nell’industria musicale? In Italia, in Gran Bretagna, nel resto del mondo?
Le statistiche parlano chiaro e purtroppo siamo ancora al 5%. Soltanto il 5% delle produttrici a livello mondiale non sono uomini. C’è ancora tanto lavoro da fare ma stiamo procedendo nel verso giusto.
Quanto l’intelligenza artificiale sta cambiando e cambierà la musica?
Spero sarà sempre usata in modo creativo, per estendere ciò che sono le nostre capacità umane e non per sostituirle.
Un aneddoto, soltanto uno – inedito – da raccontare ai lettori di DJ Mag Italia. Qualcosa di curioso, di particolare che ti sia successo lavorando con alcuni dei tanti artisti di livello mondiale con il quale hai condiviso… il mixer?
In Islanda. durante il mixaggio del suo disco, Bjork mi prestò la sua bicicletta e mi disegnò una mappa per andare in studio e girare per Reykjavik.
Domanda che rivogliamo sempre ai nostri intervistati. Che cosa suggerisci a chi volesse diventare un professionista nel campo della musica, nel caso specifico un ingegnere del suono?
Collaborate il più che potete e create una community, invece di preoccuparvi della competizione.
05.02.2024