• VENERDì 22 NOVEMBRE 2024
Esclusiva

La mappa del mondo nei club della DJ MAG Top 100 Clubs 2024

Dal Kenya al Cile, dal Brasile a Ibiza, dalla Bulgaria al Nepal, dai superclub alle leggende undergorund: ecco come cambia la mappa dei top club mondiali

Foto: Hï Ibiza

Un altro anno, un’altra classifica, un’altra volta i 100 migliori club del mondo secondo i numerosi lettori votanti di DJ MAG worldwide, da 229 Paesi, con club che rappresentano ben 40 Paesi di ogni continente e latitudine.

Per sfamare le statistiche, ecco qualche dato: il 43.5% dei club in classifica è europeo, il 23.5% asiatico, il 21% nordamericano, il 9% sudamericano e poi abbiamo un timido 2% di club in Africa (il MUZE di Nairobi in Kenya e l’And Club a Johannesburg in Sudafrica) e 1% in Oceania (Home The Venue a Sydney). Le nuove entrate sono ben 16, le re-entry soltanto 2 e c’è un solo club che occupa la stessa posizione dell’anno passato, e anche dell’anno prima: è Hï Ibiza, ancora una volta trionfatore della classifica. Al secondo posto il brasiliano Green Valley, altro nome storico del podio, e al terzo Echostage di Washington, DC, USA, nome importante di questi ultimi anni. Club italiani presenti all’appello: Phi Beach (alla 61esima posizione), After Caposile (#82), CROMIE DISCO (#92), Spazio 900 (#97).

Foto: Alastair Brookes

Fine del momento burocrazia, inizio delle considerazioni su come si muove il clubbing in un’epoca iper-digitalizzata, dove la promozione e l’auto-promozione fanno una differenza sostanziale per i locali che sognano di essere tra i top mondiali, insieme ad un altro fattore sempre più importante, anzi imprescindibile: i soldi. Sì, i soldi, senza girarci troppo intorno. Oggi più che mai l’iniezioni di liquidità finanziaria fa la differenza. Tra i top club troviamo infatti numerosi locali figli dell’epoca dell’alta finanza nel mondo della musica, con l’eccezione di alcune leggende legate a uno storico troppo importante per essere erose dalla concorrenza, e sono quelle venue che hanno saputo mantenere economie calmierate puntando su qualità delle proposta artistica, status e, appunto, su ingressi a costi ragionevoli, resi possibili anche da cachet favorevoli: chiunque vuole suonare al fabric, al Tresor, al Berghain, al Rex Club, e per esserci un artista accetta compensi anche di molto inferiori ai propri standard. Ciò permette, a cascata, ingressi a costi più bassi e in generale un andamento ancora legato a dinamiche completamente perse altrove.

Il post-Covid ha infatti portato a un’impennata generale dei cachet, dei costi, e sempre più spesso (e in tempi brevi) entrano nel gioco delle gestioni e delle proprietà dei grandi club importanti i fondi di investimento e i gruppi finanziari con il portafogli pesante. Cosa significa questo? Significa poter progettare locali favolosi, curati nel design e nella proposta per i clienti, sempre meno “capannoni con una pista, un impianto, un bar e una consolle” e sempre più pezzi di architettura di pregio, opulenti nella forma e dettagliatamente progettati nella sostanza. In cosa si traduce questo? In costi dei biglietti sempre più esosi, perché mantenere queste giostre costa tanto, e perché si vuole selezionare la clientela. Già: clubbing is no hobby, ma oggi questa meraviglisoa definizione per party harders è declinata sulle possibilità dei conti in banca.

Foto: Green Valley

Facciamo qualche esempio delle due vie in cui oggi si muove il clubbing globale, prendendo esempi molto vicini, due locali italiani: After Caposile è di fatto un after che si è fatto strada nella provincia veneta, radunando appassionati e irriducibili del dancefloor anche fuori orario e crescendo di anno in anno, di stagione in stagione, prendndosi i suoi spazi, costruendosi una sua credibilità in zona e poi a livello nazionale. Un gruppo di lavoro nato da giovani promoter e PR del posto che hanno capito come si fa questo mestiere sbattendo la testa e investendo di volta in volta in upgrade del club. Fino ad arrivare ad essere presenti tra i 100 top club del mondo. Sul lato diametralmente opposto, Phi Beach è un club fighissimo al mare in Sardegna, per anni meta di un turismo snob e benestante, dove contava quanti tavoli si erano venduti a fine serata, che ci fosse poi Vladimir Ivkovic o Jerry Calà cambiava zero. Poi però il vento ha girato in un modo diverso, e oggi anche un locale con quel posizionamento ha una clientela più consapevole, che vuole i dj di fama e con un pedigree credibile. Perché le persone sono mediamente più preparate, perché il clubbing va di moda, perché oggi è molto più cool fare serate fighe con nomi fighi che non il revival, che sa un po’ di disperazione. E dunque, ecco che gli investimenti (alti) a monte si dirigono in questa direzione. Nel 2024, la differenza di programmazione tra un locale chic e uno underground è molto, molto più sottile di quanto non fosse anche solo sei, sette anni fa. Per quanto ci riguarda (anzi, uso il personale “mi” a scanso di attriti con amici e colleghi qui innredazione) è un bene: si balla musica più bella, con dj bravi, anche in ambienti non per forza basici e senza facilities o lusso. Ma questo, ovviamente, sta cambiando in maniera inevitabile usi e costumi del settore.

Un cambiamento iniziato nel decennio passato, quando abbiamo visto i grandi potentati americani acquisire quote e proprietà nei club di Las Vegas, di New York, di Los Angeles: i vari Hakkasan, OMNIA, Marquee sono stati le case history degli anni ’10, così come i nuovi global brand based ïn Ïbïza: Hï e Ushuaïa su tutti (un dominio ormai assodato, con Ushuaïa sempre tra i top, quest’anno in quarta posizione e Hï che fa il triplete in vetta) e poi Amnesia, DC-10 e compagnia danzante. Sono seguiti i club croati, quelli cinesi, l’Asia di Singapore e Hong Kong, e poi oggi vediamo ancora altre trasformazioni. Ma non tutto è legato ai flussi di denaro, e il mondo dei club sta vivendo più che mai una trasformazione in senso globale. Ne sono testimonianza non solo le sparute rappresentanze africane e oceaniche di cui abbiamo già parlato, ma anche tanti territori sempre più presenti nella geografia dei locali che contano: dalla Svizzera al Cile, dal Brasile (sempre al top!) al Vietnam, dalla Bulgaria alla Slovacchia e poi ancora Ecuador, Repubblica Ceca, Nepal, Libano, Malesia, Azerbaijan, Messico, Canada…

Foto: Phi Beach © Chiara Milelli

Se l’Europa è ancora il continente in cui si concentra la maggior parte dei club di rilievo e di peso specifico nella club culture planetaria, è perlopiù una ragione di bacino di votanti e di prestigio delle storie di questi locali e delle città che li ospitano. Perché è ovvio che Berlino, Londra – la Gran Bretagna tutta, a dire il vero – , il Belgio come la Spagna o l’Italia siano nazioni dove il clubbing ha espresso eccellenze memorabili e con una mentalità radicata nel vivere la musica e la notte. Ma è pure vero che in un mondo dove fare non soltanto il weekend turistico, ma ormai qualche mese di lavoro in remoto da nomadismo digitale, è la prassi per il target sociale dei super club, nei prossimi anni assisteremo a scoperte ed evoluzioni sempre più intriganti di una mappa davvero, e mai come ora, globalizzata e perché no, glocalizzata. Capace di costruire star globetrotter in consolle e local heroes così come hyper brand e allo stesso tempo, cult locali “a sede unica”, come dicono i ristoratori a Napoli.

Buon viaggio, qualunque dancefloor sia la nostra destinazione.

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Albi Scotti
Albi Scotti
Giornalista di DJ Mag Italia e responsabile dei contenuti web della rivista. DJ. Speaker e autore radiofonico.