• SABATO 19 APRILE 2025
Interviste

Meg, 30 anni sui palchi e non sentirli

Un nuovo singolo, un nuovo tour, e la voglia di raccontare 30 anni di una delle carriere più interessanti della storia della musica italiana

Foto originale: Elisabetta Claudio
Artwork e Rielaborazione: Dadá Di Donna

Maria Di Donna per tutti e tutte è Meg. Lo è da quando aveva una ventina d’anni, erano i primi ’90 e improvvisamente è diventata “quella dei 99 Posse”. Un’esperienza fortunata che ha fatto la storia della musica e della controcultura del nostro Paese, un’avventura che una volta terminata ha rivelato però essere solo un seme di ciò che sarebbe poi germogliato e fiorito nella carriera solsita di Meg, dal 2004 in poi.

Una carriera lunga e piena di successi, dove Meg e Maria si sono sempre confrontate, dialogando e trovando spazi reciproci: gli album e le apparizioni di Meg sono rarefatte e i tempi tra un disco e l’altro sempre piuttosto dilatati. Ora Meg torna, dopo ‘Vesuvia’ del 2022, con il singolo ‘Maria’ (appunto), e una serie di date che dopo le iniziali a Livorno e Bologna, la porteranno il 10 aprile al Duel, nella sua Napoli, l’11 alla Casa delle Arti di Conversano (BA), il 12 alle Officine Cantelmo di Lecce, e in chiusura a Milano (Magazzini Generali, 15 aprile) e Roma, il 16 aprile a Largo Venue.

Una celebrazione della sua carriera, che compie 30 anni. Sembrano passati 3 mesi, ma è stato un lungo viaggio. E ce lo siamo fatto raccontare da Maria, anzi, da Meg.

 

Iniziamo dalla fine, dal presente: che cos’è ‘Maria’?
Beh, ‘Maria’ è un regalo che Meg fa a Maria, passami il gioco di parole. È il mio nuovo singolo ed è venuto in maniera naturale, non pensata, come tutte le coincidenze che capitano nell’ambito musicale, è qualcosa che succede al momento giusto, arriva e non la puoi far capitare. Era un brano che evidentemente stava dentro di me, un nodo che si doveva sciogliere, forse le cifre tonde ci aiutano a fare riflessioni sulla nostra vita. Così è arrivato il momento giusto.

E che cos’hai trovato quando hai sciolto quel nodo?
Ci ho trovato tante Marie, tante Meg vissute e cambiate in questi decenni. Una sorta di ricerca ciclica che non si interrompe mai. Il ritornello parla a tutte le donne ma anche a tante me, a tutte le me.

Di rcente ho visto un tuo video dei primi anni ’90, in cui eri una ragazza, una Maria molto giovane, e affermavi con una certa fierezza di essere appena entrata nei 99 Posse. Come li hai vissuti?
Li ho vissuti come una gran figata, perché sognavo di fare la musicista ma non immaginavo come potesse avvenire la realizzazione di questo sogno, ai miei tempi non avevo velleità di carriera, pensavo che mi sarei laureata e oggi forse sarei un’insegnante, vengo da quella estrazione, anche se da sempre sono stata una ragazza con una grande propensione alla creatività e anche se i miei 20 anni erano proprio un’epoca di grandi fermenti sociali, era un periodo di occupazioni universitarie, di controculture molto forti, capaci di essere popolari.

 

E tu hai avuto una vita fortemente attiva da questo punto di vista, forse anche e soprattutto entrando nei 99…
Quando i 99 Posse mi proposero di entrare nel gruppo per me fu una sorta di allucinazione, in un momento storico e sociale di grande fioritura di un movimento di giovani di una sinistra non istituzionale che si battevano per i diritti dei più fragili, c’era questa band che era un collettivo, aveva una dichiarata direzione politica e oltretutto un’evidente carica musicale e magnetica. Quindi entrare da cantante in quel gruppo fu uno shock, fu bellissimo e importantissimo.

Io sono un poco più giovane di te e vivevo quel tempo da adolescente in provincia, in una comfort zone molto lontana da quel subbuglio che però ascoltavo, leggevo, vedevo e mi sembrava attraente e giustissimo, indispensabile. Sono stati anni molto importanti che hanno portato anche all’emersione di molta musica diversa, indipendente in ogni senso, alternativa. C’era davvero un movimento underground trasversale, dai centri sociali ai club. Com’era viverlo da dentro?
Era elettrizzante perché c’era una musica con un’onda d’urto pazzesca, era forte, contagiava il mainstream e per un po’ davvero siamo riusciti a diventare addiritura pop senza piegarci alle regole del pop. Ma non solo: il nostro era un movimento che nasceva da esigenze sociali, spesso i centri sociali fornivano servizi che le istituzioni non fornivano, ad esempio istruzioni per chi ne era tagliato fuori, servizi di aggregazione come palestre sportive, boxe, sale prove per musicisti, corsi per ragazzi. Immagina tutto questo in contesti dove i soldi non ci sono, dove la criminalità dilaga e lo Stato non è molto presente. I centri sociali sono stati una salvezza per tante persone, e un luogo dove aggregarsi e coltivare passioni o semplicemente passare del tmepo libero lontano dalla strada, tra musica libera e vari interessi.

Cosa voleva dire essere in una band di successo tra i 20 e i 30 anni?
Nei 99 facevamo 200 concerti l’anno, vivevo in giro. E ho toccato con mano tutto quel movimento, in tutta Italia.

Ho letto una tua intervista dove dicevi che a un certo punto hai sentito l’esigenza di allontanarti dai 99 Posse perché ti sentivi soffocare nella tua creatività, eri a disagio. Immagino fosse il momento di una nuova Maria. È lì che nasce Meg come solista? 
Proprio così. Per me ‘Meg’, il primo disco solista, era un album intimo, avevo bisogno di trovare delicatezza, femminilità dopo la lunga stagione con i 99 in cui questo lato di me era in qualche misura imprigionato nel ruolo che avevo, avevamo, e che si era creato. Erano stati anni fantastici ma i tempi erano cambiati, e di conseguenza anch’io ero diventata un’altra donna, un’altra Maria, appunto; arriva un momento in cui ti guardi allo specchio e realizzi di non essere più nel posto giusto, ti serve scorpire chi sei, di nuovo, e per un’artista farlo significa affrontare un percorso nuovo con qualcosa che sia più tuo. Erano finiti gli anni ’90, si era disperso il movimento, erano cambiati tanti rapporti, io ero Maria ed ero Meg, e volevo che la mia identità fosse ben chiara.

 

Come sono stati i tuoi anni ’00?
Sono iniziati con le prime sortite extra-99 Posse, con le musiche dello spettacolo La Tempesta insieme a Marco Messina, era forse uno spin-off della band ma era inziato qualcos’altro. Poi è arrivato ‘Meg’ nel 2004 e sono stata un’artista nuova, una nuova Maria. Con ‘Psychodelice’ nel 2008 è come se le mie due anime si fossero ritrovate, quindi quella dance, estroversa, elettronica e quella più intima, si sono amalgamate. Sono stati anni di sperimentazioni per ritrovarmi e per trovarmi.

E gli anni ’10?
In quegli anni c’è stata una lunga pausa, me la sono presa perché a pensarci non mi fermavo da quando ero all’università. Sono gli anni in cui è arrivato ‘Imperfezione’, un album nel quale il concetto era quello di lasciarsi andare: sono sempre stata un po’ perfezionista e invece lì mi sono lasciata andare, ed è stato liberatorio scoprire quanto è bello essere istintiva e non perfezionare i difetti. Poi dopo un’altra bella pausa è uscito ‘Vesuvia’, è stato un momento molto importante, mi ha fatto tornare alle origini, a Napoli, all’elettronica.

‘Vesuvia’ è un disco, lo dico onestamente conoscendo e avendo seguito la tua storia da sempre, che ti ha rimessa sulla mappa, ha fatto tornare molte persone ad appassionarsi a te.
Ne sono contenta. Dal punto di vista musicale ormai un po’ mi ripeto, forse, in me convivono diverse anime ed escono fuori nei miei dischi.

 

Ma io credo che a un certo punto della propria carriera sia inevitabile non tanto ripetersi, ma fare di nuovo qualcosa che si sa fare bene. Ogni artista vuole costantemente allontanarsi da sé, e in una certa misura è sacrosanto, ma poi anche riscoprirsi in una versione di sé “naturale” è liberatorio, no?
Sì, lo è. Fortunatamente in questo percorso ho incontrato persone che sono cresciute con la mia musica e hanno avuto l’energia di riportarmi nei “miei” territori. Perché per me ai tempi era tutto nuovo, ora per loro sono i libri sacri che vengono riscritti, e questo è meraviglioso. Ho trovato un gruppo di lavoro con cui sono totalmente a mio agio. Di più: c’è stimolo, c’è ricerca, c’è stima reciproca. E ho trovato un’etichetta, Asian Fake, che è proprio una casa.

Chi sono gli autori, i musicisti e i produttori con cui lavori?
Sono, come ti dicevo, allievi da cui sto imparando: Marco Fugazza, Frenetik, Ze In The Clouds.

Abbiamo percorso la tua vita artistica dalla fine all’inizio per poi tornare verso il presente. Il tuo presente è un tour. Ce ne parli?
Questo tour che stiamo portando avanti ha una scaletta che abbraccia un periodo lungo, dai primi anni ’90 fino ad oggi, anzi ho chiesto a Marco Fugazza di aiutarmi a stilare la scaletta, l’ho chiesto a lui e al pubblico. Riarrangiamo molti pezzi come in genere mi piace fare, da buona figlia della cultura del remix, e mi aspetto di incontrare sempre tanto affetto, tanto amore, ultimo tour è stato un momento e un luogo in cui le persone per una sera si sentono libere di esprimersi e di confrontarsi.

 

 

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