Essere anfitrioni della ambient house non è da tutti. Si può raccontare di aver percorso il perimetro della villa di Brian Eno ma certo non di essere stati guidati nelle visioni da uno come Alex Paterson. Contribuire a diffondere la musica elettronica ad ampio spettro in modo elegante, dotto e spregiudicato non è da tutti.
Produrre brani che hanno segnato la storia di una musica contaminata da tecniche avanzate inorgoglisce, è da eroi. Essere, poi, ancora oggi, il 50 per cento del marchio The Orb (insieme nella foto in apertura di John Hollingsworth), insieme a Thomas Fehlmann, è un privilegio.
The Orb nei live deflagrano, si aprono. Si fermano solo davanti alla quarantena ma si preparano per il domani. Con un nuovo lavoro. Gestiscono con nonchalance stems minimali dai propri computer via Ableton Live, coordinano e monitorano alcuni campioni dal vivo e, durante il flusso di lavoro, con dei cdj, aggiungono frammenti sonori ed effetti vari. Il resto è suonato spesso in diretta dai musicisti che partecipano all’ensemble.
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Pubblicato da The Orb su Venerdì 28 febbraio 2020
La coppia arricchisce, con una valanga di nuovi campionamenti, le tracce proposte nel set e, nel complesso, le parti fortemente ritmiche vengono ridotte a vantaggio dei momenti più calmi dello show. “È un continuo saliscendi. Gli elementi costitutivi delle versioni originali sono spesso distorti e nascosti dietro a nuove basi ritmiche. Col tempo diventiamo sempre più… caldi”, dicono i due. Paterson poi prende la parola.
I live sono l’ultima speranza, la libertà?
Le radio non permettono di sperimentare e allora ci si deve rivolgere a media alternativi e all’incontro col pubblico.
Come avete prodotto l’ultimo vostro album, ‘Abolition of the Royal Familia’? Con che tecnica?
Con l’impiego di musicisti, con il supporto di artisti. Che devono avere un suono unico, personale, per definirsi tali.
Una riflessione sul titolo ‘Abolition of the Royal Familia’: lo prendiamo come una provocazione e un invito alla ‘abolizione della famiglia reale’. Sembra qualcosa vicino all’umore della Brexit?
Siamo nel pieno del nuovo millennio. Siamo ancora legati a preconcetti, a pregiudizi e a ordini prestabiliti, come la famiglia. Sono fotografie ingiallite che abbiamo voluto rappresentare proprio attraverso l’album. Serve evolversi, emanciparsi.
Avete già capito quale potrà essere il seguito di ‘Pervitin’? Insomma, su quale nuovo singolo punterete?
Non ci sono singoli principali. Questo album, come tutti i nostri del resto, è un sunto, nella sua complessità, integrità. E non prendiamo decisioni a tavolino estraendo singoli dai nostri lavori.
Cosa pensate dei giovani produttori che vorrebbero dare il meglio nel mondo musicale attraverso le loro creazioni?
Personalmente, posso aiutare chi ha bisogno. Ma sono certo di una cosa: non devi avere indicazioni così, a spanne. Nella vita devi provare sulla tua pelle cosa significa vivere un percorso, cosa sia una prova, l’ingresso nel pieno di un’esperienza.
Dove può ancora andare, in termini di sperimentazione, la produzione musicale? Può bastare l’intuizione?
Non mi alzo al mattino e mi dico: sperimento. Invece, mi muovo e mi lascio influenzare dai luoghi. Ultimamente sono attratto dall’Italia e non solo dal suo clima, il suo cibo, il suo paesaggio, ma anche da quello che ha creato e crea. A tal proposito voglio sottolineare la collaborazione con Gaudí, un artista che mi ha permesso di conoscere tutta la scena sotterranea di Bologna. Queste sono indicazioni.
Pensi che l’intelligenza artificiale (e gli algoritmi) saranno deleteri per la produzione musicale o la supporteranno o addirittura la miglioreranno?
Dipende dall’uso che se ne fa. E poi, ultimamente, soprattutto per il nuovo album, non ne ho utilizzata molta di tecnologia. Preferisco gli strumenti tradizionali e poi intervenire con software e computer music quasi in fase di post produzione. Siamo già nell’era della plastica, gli alieni sono tra noi, vivono nella zona settentrionale dell’Inghilterra. A loro chiediamo solo una cosa: dateci più subsoniche.
Quasi un lavoro di sottrazione?
No, quasi un lavoro di arrangiamento, di revisione.
Stiamo ancora piangendo la scomparsa di Andrew Weatherall. Tu, Alex, cosa ricordi di lui? Hai qualche suo insegnamento?
È difficile parlarne. L’avvenimento è tragico. Io sono distrutto. Mancherà a tutti. È stata una persona meravigliosa.
Sarete al Beautiful Days Festival, ad agosto (se si terrà, ovvio)? Sarà un live o un dj set?
Sarà (se si terrà) un mix, con controller e tante tracce, effettistica. Attenzione agli argentini. Al loro movimento, alla loro musica è alla loro apertura mentale.
Pre produzione, mix, mastering: fate tutto in casa?
Assembliamo tutte le idee e le pre-produciamo, poi la produzione giunge al termine quando siamo coscienti che ha necessità del mastering. Ogni giorno è un giorno diverso e così anche i brani prodotti.
Arrivate in studio e cosa fate?
Sessioni, registriamo ed editiamo parti, bassi, pads, voci, loop. Stiano pensando e indirettamente lavorando su del nuovo materiale, in buona parte ancora nelle nostre teste. Logic X, Pro Tools e Ableton live? Ognuno ha una peculiarità e non ci sembra il caso di soffermarsi su una DAW sola.
Quanto tempo dedicate all’apprendimento delle nuove tecnologie e quali sono le fonti a cui ti rivolgi?
Siamo istintivi su questo e non c’è una regola. La musica per noi è solo una rappresentazione di uno stato mentale o una vibrazione di coscienza. L’ascoltatore non ne è consapevole ma è così: a livello di subconscio, la musica può farti sentire triste o felice. È qui che viviamo, in questo canale di suoni. Ci sono vibrazioni sessuali, nella musica, che fanno girare il mondo. Dal suono degli uccelli ai ruggiti, alle onde dell’oceano, è tutto sulla rigenerazione. È tutto qui, sul pianeta terra.
18.06.2020