I giornalisti di una ventina di anni fa lo avevano soprannominato il Fatboy Slim della Lomellina. Della cosa, ai tempi, rideva Andrea Bertolini, mentre con una sua personalissima tech-house dilagava tra classifiche e discoteche. Classe 1978, nato in provincia di Alessandria, centrò la sua prima hit internazionale con ‘Nasty Bass’. Era la primavera del 2004 e finì nel sesto volume di una compilation della serie ‘Subliminal Sessions’ che gli aprì le porte un po’ ovunque facendolo entrare nel circuito clubbing e nelle conoscenze di Erick Morillo e della sua etichetta.
Dopo una collaborazione costante con Joe T Vannelli per la realizzazione di diversi brani, Andrea ha iniziato un percorso molto personale, che lo ha portato a suonare un po’ in tutto il mondo. Da Fatboy Slim della Lomellina e diventato prima artigiano del suono progressivo e successivamente conquistatore di nuovi territori come la Russia, come Israele, valicando molti altri confini ed entrando in contatto con nuove realtà. Sino ad arrivare a Pisti (sì, quello dei Motel Connection) e alla sua label Lunetta 11, che in realtà è molto più di una semplice etichetta.
Il 9 marzo è uscito il suo nuovo progetto, Antenna!, con l’EP ‘Algoritmo’ (che racchiude ‘Chroma’, ‘Rhombus’ la title track ‘Algoritmo’). Tre gemme nu-disco con una caratteristica divagazione di groove che richiama il manierismo dei Chicken Lips, il mood di Loose Joints e lo stilismo di The Emperor Machine. Fonti infinite d’ispirazione, queste, che lo hanno portato ad allontanarsi dal suo nome di battesimo e a fondare l’iniziativa Antenna!, per irradiare il mondo spaziale di synth come Juno 106, Korg MonoPoly e SCI Pro-one. Armi di costruzione di massa a ritmo di disco, di house e di psichedelia.
Puoi raccontare come hai realizzato l’EP ‘Algoritmo’?
Il primo step è stato quello dell’ascolto di produzioni dei primi anni Ottanta. Ho deciso un setup con cui lavorare e quindi ho iniziato a sperimentare. Cosa verrà dopo non si sa. Le tracce aumentano di mese in mese. Con Pisti decidiamo poi di volta in volta quali inserire negli EP.
Come sei arrivato al progetto Antenna!?
Sono sempre stato attratto dai progetti che riuscivano a combinare l’elettronica con strumenti ed un feeling live. Questa situazione l’ho ritrovata nelle produzioni dei primi anni Ottanta di cui ti parlavo, dove le nuove tecnologie synths-drum machine iniziavano a essere utilizzate dai musicisti. A metà degli anni 2000 vengo a conoscenza dei Chicken Lips, duo inglese che fondeva perfettamente questi elementi, ed esasperai alcuni loro concetti rimodernandoli. È forte la passione per i Chicken Lips e per il loro leader Andy Meecham. Sono stati una grossa ispirazione per me, da sempre. Quindi ho provato a creare un progetto che potesse avvicinarsi a quel mondo. Il lavoro di ricerca di gruppi che potessero essere fonte di ispirazione e il setup per creare il suono è durato per alcuni mesi.
Che differenza c’è tra il suono di Andrea Bertolini e quello di Antenna!?
Come Andrea Bertolini sono conosciuto al pubblico per due fasi: una sviluppata a circa metà dei 2000, dove ho creato un suono e una label che in Italia sono stati un punto di riferimento per tanti dj e producer, la Stereo Seven Plus. La seconda, dal 2009 circa, quando ho portato il mio suono progressive house in giro per il mondo. Antenna! è un suono che avrei sempre voluto realizzare, ho però dovuto aspettare il momento buono, ossia quello in cui i miei lavori precedenti non avrebbero influenzato un mio nuovo percorso.
Quando hai inaugurato il tuo studio di registrazione?
Nel 2009. Era un garage inutilizzato, insieme a due amici abbiamo rimesso tutto a nuovo e creato la stanza dove oggi produco. Ho lavorato per parecchi anni in studi di altri e a un certo punto ho pensato sarebbe stato naturale averne uno proprio in cui poter sperimentare liberamente. La sonorizzazione l’ho curata io. Per me era importante corregge un po’ di problemi della stanza stessa ma… nulla di fantascientifico. A livello di insonorizzazione mi sono fatto consigliare da amici sul miglior materiale da poter applicare. Per quanto riguarda gli strumenti, una parte l’ho ereditata dallo studio in cui lavoravo precedentemente. La mia passione per la produzione nasce nei primi anni 2000. All’epoca era un momento di importante transizione dall’analogico al digitale, quindi ho iniziato semplicemente con un pc, una soundcard integrata e un sequencer, Logic della Emagic. Poi, nel corso degli anni la situazione è decisamente cambiata. Attraverso collaborazioni ho imparato a provare, conoscere ed apprezzare l’utilizzo di macchine analogiche. Ad oggi queste rappresentano l’80% del mio set up. Questo è comunque in continua evoluzione. Il mio studio lo considero un continuo work in progress. Il concetto a cui tengo è che lo studio in sé deve essere modulare, pronto a essere… scombinato in base alle esigenze del momento.
Come organizzi la produzione?
Cambia di volta in volta in base al progetto. Mi piace non avere un set up definitivo. A volte mi impongo di utilizzare una macchina sola. La maggior parte delle volte una mia produzione nasce da un sample. A volte però trovo divertente scegliere uno dei miei synth e provare a fare una traccia esclusivamente con quella macchina, spremerla il più possibile. Da dj sono abituato a dare subito l’impronta che voglio ad una produzione. Sono parecchio ossessionato nel trovare le drum giuste sin dall’inizio e poi faccio tanto sound design. Il limite credo sia la propria fantasia. Mi interessano tutti i lati della produzione: dal sound design, mix, mastering. Ho clienti che mi affidano le proprie produzioni per il mix e master: forse quella è la mia parte preferita. Mi occupo poi del mix e del mastering dei pezzi, perché chi meglio di noi sa come deve suonare una nostra produzione? Abbiamo provato ad affidare ad altri questo compito, ma purtroppo il progetto veniva troppo snaturato. Quindi abbiamo deciso di occuparcene direttamente.
Sei un amante della strumentazione vintage?
Molto. Nel mio studio oltre all’Akai MPC2500 sono presenti un Roland Juno 106, un Korg Mono/Poly e un Sci ProOne. Come software utilizzo Ableton, trovo perfetta l’integrazione che ha con l’hardware che utilizzo. Oltre ai synth che ho citato prima ho poi un Pioneer Toraiz As1, Toraiz Squid, Toraiz SP16, Yamaha TX81z, Yamaha SY22, Korg Poly800, Beheringer Neutron. Il tutto viene convogliato in un mixer Mackie 1402 VLZ PRO affiancato a un compressore FMR RNC 1773. Di questi ultimi due adoro lo… sporco che portano alla registrazione. Per quanto riguarda i mix e mastering utilizzo un sommatore Dangerous Audio 2 Bus LT, convertitori Apogee e uno stereo processor (compressore/eq) TL Audio.
Hai dei maestri, o comunque dei riferimenti, in fatto di professionalità nello studio recording?
Ci sono tanti produttori interessanti. La mia attenzione è rivolta al prodotto e non al produttore stesso. Penso che un produttore debba cambiare la propria mentalità in base al progetto e riuscire a dare il proprio tocco. Il mio mentore è Danilo Rossini, colui il quale ringrazierò per sempre per avermi fatto conoscere questo mondo. Alex Voghi per avermi introdotto nel mondo della discografia. E non per ultimo Pisti: con cui ho stretto amicizia nel 2012 quando ho prodotto l’ultimo album dei Motel Connection. Per me lui rappresenta il vero dj, è un conoscitore di musica pazzesca. Siamo diventati molto amici ed insieme abbiamo diversi progetti, tra cui Mangaboo, insieme a Giulietta Passera, e l’etichetta Lunetta11.
03.04.2020