Foto: Matteo Strocchia & Marco Servina
Il ritorno del più folle cantante italiano, dove folle non può essere altro che un enorme complimento in uno scenario di figurine troppo spesso in 2D, personaggi addomesticati che assecondano, semplicemente, il mercato, senza sforzarsi di buttare il cuore e la creatività oltre l’ostacolo. Marco Jacopo Bianchi da Ivrea, in arte Cosmo, si prende invece sempre il rischio di cambiare, di esplorare paesaggi e territori nuovi, di non replicare la formula che l’ha portato al successo ma di fare, davvero, l’artista.
Ne abbiamo parlato in occasione dell’uscita del suo nuovo album, ‘Sulle Ali Del Cavallo Bianco’, fuori dal 15 marzo e che sarà seguito, da fine marzo a primavera inoltrata, da un tour nei club.
Partiamo dal futuro: album, tour. Che parte a breve, a fine marzo. Ci hai abituato a live sorprendenti, per la musica ma anche per l’impianto scenografico, i visual, tutto. Come sarà strutturato il nuovo tour?
Questo sarà il mio tour migliore a livello di allestimento, se togliamo la data al Forum del 2019 che era stata faraonica per me, il racconto musicale sarà più vario, sarà un bel viaggio, con più sentimento e meno cassa in quattro. Con la scaletta dello scorso tour ho portato il mio corpo allo stremo, sono svenuto, letteralmente, un paio di volte, mentre stavolta avremo anche una chitarra sul palco, ci sarà la tensione del club ma anche qualche momento intimo, più sentimento.
Anche perchè eri sempre più club, dopo Cosmotronic, dopo il Forum, dopo il tendone a Bologna, era tutto sempre più spinto. O andavi a fare un rave, oppure…
Sì, a un certo punto diventa un limite, occorre esplorare nuove dimensioni, in ‘La Terza Estate Dell’Amore’ c’erano uno, due accordi per brano, mentre io già dopo aver finito quell’album volevo sviluppare più melodia, mi trovavo a canticchiare dischi di altri e pensavo “mah, se avessi un paio accordi in più, che melodie potrei scrivere?!” Ahah! Capisci?
E questo lo vivi come un ritorno ai tuoi primi album, se vuoi più melodici, più “canonici” prima degli ultimi lavori in cui hai trovato una personalità completamente tua – almeno per me, ovviamente -, o è invece uno slancio evolutivo?
Beh, io chiaramente la vivo come un’evoluzione. Premessa: il disco l’ho sviluppato, scritto e prodotto intramente insime a Not Waving, Alessio Natalizia, di fatto in questo momento Cosmo è un duo, lui è la mia controparte, poi io ci metto la faccia ma è con lui che ho fatto tutto, sarà anche in tour con me, sul palco saremo in cinque. Per dire, non è venuto a curare i brani o a finirli, è stato proprio al 100% parte del processo creativo. C’è uno sguardo al passato ma il discorso tra noi è stato quello di aprirci qualsiasi porta ci si aprisse, anche casualmente, proprio per andare musicalmente oltre a ciò che avevo fatto negli anni scorsi. Viene la ballad alla Dalla, alla Carboni? Facciamola! Viene la roba trance? Facciamola!
Che poi è sempre stata una tua cifra quella di essere “libero” e vario, no?
Ma sì, ma poi la musica per me nasce senza forzature e anche in questo caso ho assecondato quello che provavamo e che ci veniva, è giusto così, perlomeno per me, quando scrivo.
Sei sempre riuscito a intercettare dei momenti molto particolari, personali ma anche collettivi. In che clima umano è nato questo album?
Ma sai, intercettare i momenti è qualcosa direttamente figlio di ciò che viviamo, nel 2021 ‘La Terza Estate Dell’Amore’ nasceva nel momento dei lockdown, era ovvio che ci fosse voglia di rivoluzione, di recuperare una parte di noi forzatamente chiusa, in molti sensi. ‘Sulle Ali Del Cavallo Bianco’ invece racconta di una nuova collettività, un nuovo modo di vivere che è anche frutto delle sensazioni di Alessio, ed è anche un lavoro incentrato meno sulla politica e più sul sentimento.
Perché?
Perché ho vissuto un anno molto intenso da questo punto di vista, non so se piacevole o spiacevole, ma è finito tutto dentro le canzoni. Ma poi anche l’immagine del cavallo bianco per me è questo viaggio costante tra due mondi, l’aldilà e la società. È stato un anno di scoperte, di sperimentazioni sulla mia mente e sul mio corpo, mi sono trovato a farmi domande sulla mia identità, in modo concreto: chi sono? Che cazzo faccio?
Su questo aspetto, sulla sperimentazione e sulle sostanze, sei sempre stato piuttosto esplicito senza però mai cadere nell’apologia, nel “che bello spaccarci”. Al contrario, ne hai sempre parlato in modo maturo, come qualcosa che può essere aiuto e spinta creativa, sociale, direi anche filosofica. Non ti sei mai sentito frainteso o attaccato su questo tema?
In realtà non tanto, quasi mai. Credo che il modo in cui mi relaziono a questi temi si percepisce che non è ingenuo o distruttivo, difficile vnire da me e dirmi certe cose. Quando ne parlo e li espongo sono serio, adulto, maturo. Non mi nascondo dietro a un dito, non sono l’unico, ci sono attori sociali come Riduzione Danno, intelletuali, scrittori, medici che ne parlano in maniera seria. Il cosidetto rinascimento psichedelico, le cure… anche in TV, a Che C’è Di Nuovo sulla Rai, ne ho parlato in una certa maniera e non mi hanno massacrato.
Torniamo alla musica: la musica elettronica e da club è una parte molto importante della tua produzione ma anche della tua vita da dj, che spesso si sovrappone o comunque è complementare a quella da cantante e musicista. Cosa ti ha intrigato ultimamente?
Sto facendo davvero un trip strano anche sul mio lato da dj: non ho visto o sentito cose che mi hanno aperto in due ultimamente, però sono felice che Ivreatronic, il collettivo di cui faccio parte, sia invece ciò che mi piace e ce l’ho in casa, per la varietà stilistica, per l’apertura mentale, per l’approccio. All’ultima festa che abbiamo fatto al Bunker di Torino ho suonato in apertura, dalle 21 a mezzanotte, e mi sono detto “senti, qui andiamo avanti fino alle 6 del mattino, non ha senso fare un set in cassa dritta, da ballare”. Così mi sono messo a suonare cose ambient, sperimentali, mi sono preso il mio tempo per aprire la serata in modo totalmente libero, senza stare a farmi pippe da protagonista. E mi è piaciuto molto. Bisogna saper switchare in base alle occasioni, al mood… io quando sento un dj che fa sempre la stessa roba mi annoio, ma è il discorso di prima sull’idea mia di cambiare stile e fare ciò che amo senza stare a pensare a cosa si aspettano i fan o all’identikit che mi hanno cucito addosso.
Ecco, come si fugge dall’identikit che il successo ti cuce addosso?
Il fatto di essere stati in due a lavorare al disco mi ha aiutato. All’inizio magari sentivo una chitarra acustica, un violino, in un pezzo in lavorazione e mi prendevo un po’ male, mi chiedevo se quello fossi davero io, se fossi credibile nel farlo. E invece Alessio, Not Waving, mi spingeva “vai vai vai!” e ho preso fiducia, mi sono lasciato andare, e scopro che poi mi piace questa libertà, è davvero mia. Paradossalmente mi ha riportato a quella dimensione di libertà di quando avevo 20 anni e smanettavo in camera con un quattro piste e i primi software e senza menate provavo suoni e soluzioni anche diversissime tra loro. Mica avevo i paletti della consapevolezza, facevo quello che mi piaceva, e la verità è che anche dai suoni apparenetemente peggiori, più “mongoli” se mi passi il termine, possono nascere le figate.
Mi viene in mente Damon Albarn nel famoso video con Zane Lowe in cui viene svelato come era uscito il riff di ‘Clint Eastwood’ dei Gorillaz, con il primo preset di una tastiera giocattolo, senza modifiche.
Esatto! Lo stesso ha fatto Lorenzo Senni con il JP8000 della Roland, ci sono delle frasi pre-registrate e lui ne ha presa di peso una, ovviamente modificandola, e l’ha usata in un suo pezzo, io sono impazzito quando l’ho scoperto, ma in realtà è prassi: funziona, sta bene, non è mica un reato! Mi capita sempre più spesso perché ci gioco con i miei figli con le tastiere, gli ho regalato delle piccole tastiere per giocare e spesso ho delle illuminazioni proprio sperimentando insieme a loro.
E credo sia proprio questo uno dei segreti per fare musica libera: giocare, sperimentare, no?
Credo anch’io.
Ultima domanda: la copertina e il cavallo bianco?
Ma guarda, è una cosa di una coincidnza da telepatia. Da un po’ mi era venuta questa voglia di una copertina con queste grafiche maestose, un po’ anni ’90, patinate, non so bene perché. Anche con l’idea del cavallo bianco, del Pegaso, tutto surreale. Valerio Bulla, che ha realizzato la cover, quando ha sentito la mia proposta, invece di mandarmi al diavolo come pensavo, mi ha risposto che anche lui era in scimmia con questa storia degli animali da un po’ di tempo ma pensava che nessuno si sarebbe mai accollato un’idea del genere. E invece, eccoci qua!
15.03.2024