Foto: DJs From Mars
In un’era dominata da algoritmi e playlist preconfezionate, dove tutti fanno ormai tutto, i DJs From Mars tengono botta e trasformano la pratica del mash-up in qualcosa di definito e definitivo, oltre che rivoluzionario. Come? Sfidando logiche commerciali e purismi di genere. La loro ultima creazione, ’20 Years of Festival Anthems’, non è solo una mega compilation: è un manifesto musicale che condensa 100 brani iconici in 13 minuti, un tourbillon di emozioni che parte dalle basi elettroniche dei Daft Punk e dei Chemical Brothers per esplodere nelle sonorità contemporanee di Anyma e Meduza.
“All’inizio eravamo due ragazzi con un laptop e una passione malata per i bootleg”, raccontano Max e Luca, “oggi abbiamo strumenti professionali, ma l’approccio è lo stesso: giocare con la musica come fosse Lego”. La selezione dei pezzi, però, è stata una lotta contro il tempo e la fisica acustica: partiti da una lista di 200 tracce, hanno dovuto tagliare quelle incompatibili tonalmente, salvo salvare alcuni classici con interventi tecnici. “Abbiamo usato pitch shifting e manipolazione delle formanti per fondere ‘Smack My Bitch Up’ dei Prodigy con ‘Losing It’ di Fisher”, spiegano, “il risultato? Una bomba che nessuno si aspettava”.
Ma il vero miracolo è l’alchimia tra generazioni: in un passaggio chiave, l’eurodance degli Eiffel 65 si intreccia all’EDM di David Guetta, mentre l’afro-house di Keinemusik sfocia nella melodic techno di Anyma, tutto in 20 secondi. “È come vedere un quadro di Banksy che nasce in diretta”, commentano, “la musica unisce, punto. In quei secondi, un raver cinquantenne e un teenager scoprono di amare la stessa energia”. E proprio l’energia è il filo rosso della loro carriera: dalle residenze nei club di Torino, dove testavano i primi mash-up su pubblici ristretti, ai palchi di Tomorrowland e Ushuaia, dove hanno suonato davanti a centinaia di migliaia di persone. “Il backstage di Tomorrowland è un microcosmo”, rivelano, “tra Armin Van Buuren che parla di filosofia buddista e Miss Monique che consiglia plug-in, capisci che la musica è una lingua universale”.
Tra gli aneddoti più folli, spicca il set sotto un diluvio monsonico in Corea del Sud: “La polizia voleva interromperci, ma la folla continuava a ballare nell’acqua fino alle ginocchia. Alla fine, hanno spento i generatori e siamo finiti a cantare a cappella con il pubblico”. Esperienze che confermano la loro filosofia: “La gente non viene ai festival per analizzare i kick drum, ma per vivere emozioni pure. Anche i techno-puristi si sciolgono con ‘Somebody That I Used To Know’ di Gotye, basta presentargliela con un drop esplosivo”.
Il mondo dei mash-up, intanto, è cambiato radicalmente: se negli anni 2000 bastava unire due voci acappella e una base, oggi servono competenze da sound designer e smanettoni; e mentre l’industria discografica strizza l’occhio ai loro numeri da 60 milioni di views su YouTube, loro guardano oltre: “Stiamo lavorando a brani originali, cover riprogettate e collaborazioni inedite. Con Gabry Ponte e MATTN abbiamo sperimentato fusioni tra folk ucraino e bassline UK, ma il progetto più ambizioso è un album che mescola orchestre sinfoniche a drop elettronici”. Il futuro? “Vogliamo colonizzare Spotify con remix impossibili, ma resteremo sempre quei due ragazzi con il laptop. Anzi, forse compreremo un laptop nuovo”.
16.04.2025