Una noia, quando ti fanno sempre le stesse domande. E poi le stesse domande spesso generano le stesse risposte e aprono ai soliti argomenti. È come se ci si trovasse a un tavolo con gli Eiffel 65 e si chiedesse loro di ripercorrere il periodo di ‘Blue (Da Ba Dee)’. Quanto ha venduto il disco? Ti sei fatto la villa? Come ci si sente a essere fermati per strada per un selfie o un autografo?
Nell’epopea del generalismo di facciata, del gossip facilotto e dei titoli clickbait è dolce naufragar nel fiume controcorrente. Come? Parlando di tecnologia, ovvio, di quella tosta, da nerd, con due personaggi che non solo sono gli Eiffel 65 di ieri, oggi e domani, ma anche due veri smanettoni, animali da studio che invece di fare avanti e indietro casa e chiesa in settimana e nei weekend, fanno live on disinvoltura (tra cui, il ‘So ’90s Festival’, insieme ad Aqua e Vengaboys, in due ippodromi a luglio, rispettivamente il 2 allo Snai San Siro a Milano e il 3 alle Capannelle a Roma, che con onesto ottimismo potrebbero anche svolgersi, chissà), e lavorano costantemente in studio, traghettando esperienze che li portano a essere dei super professionisti pronti a tutto. Il loquace Maurizio Lobina e il più laconico e sintetico Jeffrey Jay, all’anagrafe Gianfranco Randone, eccoli.
Tips & Tricks: avete dei trucchi da svelare?
Maury: Dovrei rispondere con un seminario di almeno una settimana a questa domanda. Un suggerimento che può sembrare banale ma non lo è: prima di qualsiasi altra cosa impara, imparare dai più grandi, padroneggiare più strumenti e tecniche possibili e, da lì in poi, non avere paura di non sembrare cool o in linea con tutto quello che si sente su Spotify, uscire dalla comfort zone e “rischiare” di diventare qualcosa di diverso e magari di speciale piuttosto che sperare in una vita artistica altrui. Di trick ne do uno per categoria:
Scrittura: quando sei a corto di idee parti dall’armonia di un brano che ti emozionava tanto quando eri un teenager e costruisci sopra un beat con il sound che preferisci oggi.
Produzione: il caro vecchio less is more, meglio pochi suoni ben disegnati e con uno scopo preciso che non una sessione infinita di tracce confuse.
Mix: parti dal gain stage e dai livelli di massima degli elementi portanti della traccia, e mixa per un po’ in mono; quando senti che suona equilibrato, togli il mono e goditi il resto del lavoro.
Mastering: porta il livello dei picchi generale a non oltrepassare lo zero db VU, e lavora sugli stems o sull’audio in maniera gentile e con obiettivi decisi e precisi; trovati equilibrio, posizione e dinamica potrai iniziare la fase finale, cioè quella di sparare il volume fino al target soddisfacente.
Jeffrey: La mattina in studio ho la buona abitudine di pensare prima alle email lasciando un sottofondo musicale, meglio se una classifica su Spotity o iTunes, Così, nel frattempo, le orecchie si allineano con le frequenze di quello che sta girando al momento e quando apro la sessione del brano su cui sto lavorando mi rendo subito conto di come suona paragonato ai brani nelle classifiche appena ascoltate.
Chi ha curato la sonorizzazione e chi l’architettura dei vostri studi?
M: Per il trattamento acustico mi ero rivolto ad un’azienda che oltre ad aver insonorizzato alcune radio e studi professionali era anche specializzata in poligoni di tiro. All’epoca tendevo ad avere spesso volumi esagerati e ricordo di aver pensato: “se non si sente e non riverbera uno sparo figurati una banale cassa in 4/4”. Per la parte arredamento e look li ho ideati io basandomi sullo studio di Steve Albini, per lo studio Red, e Jean Morel per quello Blue. Sono stati fatti a tecnici di fiducia che hanno saputo realizzare cosa avevo in mente.
J: La persona che si è occupata della sonorizzazione è il grande professionista, nonché caro amico, Enrico Tortarolo. Torta per gli amici.
Come nasce una vostra produzione?
M: Non c’è mai stata un’unica formula, e quando ne sviluppi una che funziona dopo poco ti trovi a ripeterti e sei costretto a smontarne le logiche per evitare di cadere in un buco nero. Io da pianista ho sempre usato il piano come estensione della mia anima artistica e quindi tendo in ogni caso a sviluppare armonia e melodia con quello, ma sono anche un fan del sampling, che in genere dà spunti che mai ti sarebbero venuti in mente. Per la produzione in sé invece ho sempre bisogno di due elementi in equilibrio come quando cucino: la tradizione e la sperimentazione.
J: In vari modi, nel caso degli Eiffel 65 ci siamo più volte trovati a valutare armonia e melodia di qualche bozza e poi spesso passa dalle mani di Maury per gli arrangiamenti e da me per i testi in inglese.
Siete amanti della strumentazione vintage? Dell’hardware in generale?
M: Durante i primi anni degli Eiffel 65 lavoravo con Juno 106, TR-909, Dx7, Akai e Novation, in studio oggi ho ancora strumenti analogici come un Moog Voyager Electric Blue edition, ma tendo a lavorare in the box per praticità.
J: Sono un amante del suono ma non della vecchia tecnologia. Ne ho avuti diversi di strumenti vintage (tra cui una TR-808) ma la praticità degli strumenti di oggi (i plugin in particolare) è fondamentale per sostenere i ritmi produttivi odierni. Come per esempio la possibilità di salvare i suoni con la sessione del pezzo.
Principalmente, che software usate?
M: Per il songwriting e la produzione Ableton Live. Per mix e mastering Logic X. Poi ovviamente uso plugin e VST di qualità.
J: Per comporre uso Ableton Live. La struttura del programma e il suo spettacolare algoritmo di stretch è il sogno per ogni produttore che usa i loop. Per le voci invece lavoro su Cubase e Logic. Il mix e mastering rigorosamente si Studio One.
Chi cura il mastering delle vostre tracce?
M: Attualmente me ne occupo io. Ma sia io che Jeffrey abbiamo le competenze che servono per produrre e finalizzare una traccia.
J: In passato abbiamo lavorato con due fonici sostanzialmente, Angelica (Vilella) e Mauro (Di Deco).
07.04.2020