Foto: Instagram @enricosangiuliano
“Oh Albi, sei rimasto più di quattro ore!” Lo stupore di Enrico Sangiuliano mentre lo saluto, perché sto per andare a casa, mi fa sorridere. Perché è vero: sarà che nella vita ho visto e vissuto migliaia di serate in tanti, tanti anni da clubber. Sarà che ormai ho una certa capacità di “leggere” una serata nel giro di pochi minuti da che metto piede in un locale. Sarà che il clubbing è diventato un po’ tutto uguale, con poche sorprese. Ma devo ammettere che ormai nell’ambiente il fatto che se io vado a una serata, di solito duro meno di un’ora, è abbastanza noto. Enrico ha ragione, sono durato tanto stasera e infatti mentre ci salutiamo velocemente, perché lui sta suonando, gli ribatto “e mi sono divertito tanto!”. In effetti, ho ballato dalla prima cassa fino al momento dei saluti. Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dall’inizio.
L’inizio è che Enrico Sangiuliano suona al Tempio del Futuro Perduto. Spazio milanese che nasce con l’idea di essere uno luogo comunitario come non ce ne sono più a Milano. O forse come non ce ne sono mai stati: un posto dove si fa musica (regolarmente, con una programmazione clubbing molto seria e di alto livello), dove si insegna musica, dove si portano avanti diverse attività sociali e culturali, spesso gratuitamente, a beneficio appunto della comunità, di chi ha bisogno o voglia di partecipare, e dove soprattutto si cerca di aiutare le persone meno fortunate con varie forme di donazioni e aiuti. Il Tempio è il primo centro socio-culturale indipendente riconosciuto dalla legge italiana. E stasera Sangiuliano suona tutta la notte, “from silence to silence”, come dice la sua comunicazione. L’artista non è nuovo a questo tipo di performance: si tratta di set di circa 8 ore in cui ama costruire interamente il suo set, il suo viaggio, da quando aprono le porte del club fino all’ultimo disco. Di tanto in tanto, Sangiuliano ama proporre questa idea in pochi, selezionati locali che ritiene essere in linea con lo spirito del format. A Milano, Enrico trova da tempo nel Tempio (perdonate il gioco di parole) lo spazio ideale per il suo all night long.
Per tante ragioni: Enrico viene da una lunga gavetta nella scena rave, è uno che il Tempio l’ha frequentato da clubber e da dj prima della fama; ha un rapporto speciale con questo posto e con Milano, dove ha vissuto fino a pochi anni fa, e quando ci torna vuole che sia speciale; la serata ha poi un po’ con sé una sorta di “celebrazione natalizia” per fan e amici. E qui aggiungo una nota che non è assolutamente banale: ho conosciuto Enrico grazie a un’intervista che abbiamo pubblicato nel 2018, era appena uscita ‘Biomorph’, album che l’ha fatto svoltare da “interessante newcomer” a “dj in rapida ascesa internazionale”. Ho visto quella spettacolare carriera decollare e diventare quella che è oggi, che lo vede tra i top player mondiali e allo stesso tempo tra i maestri riconosciuti di una techno popolare ma di alta qualità. E l’ho visto – cosa che gli fa onore – farsi strada nelle complicate dinamiche dello show business contemporaneo, fatto di cachet esagerati, lusinghe e sirene economiche e di apparenza, con una lucidità disarmante, che non gli ha fatto perdere il focus sugli obiettivi e sulla ricerca della qualità, nella musica come nei set. Tutto questo porta dritto alla serata del Tempio, dritto a voler portare la sua serata in un club non convenzionale, certamente meno allettante per le tasche ma anche più intimo, personale, meno “contenitore” di molti altri. Non so quanti colleghi e colleghe farebbero scelte del genere in un moemnto apicale della propria carriera. Ma la vibe si sente tutta.
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La vibe è un’atmosfera che fin dal primo disco, alle 22 in punto, porta numerosi e numerose fan sotto cassa, anche se la cassa parte un’ora dopo, e fino alle 23 abbondanti il set è ambient, rilassato, warm up fatto come Dio comanda, la musica che il dj vorrebbe suonare ma spesso non può per questioni di orari. Poi si parte a 117 bpm, e la gente impazzisce. Il club si riempie, tutti ballano, io ballo e mi godo ogni pezzo, spesso sbircio i CDJ per vedere cosa suona, i bpm si alzano e si arriva in maniera organica al peak time, con le sue hit. Noto due cose che mi fanno letteralmente godere: tutti sanno i pezzi a memoria, cantano refrain e vocal (quando ci sono), e tuti ballano. B a l l a n o. Sembra banale, non lo è. Uno dei grandi temi del clubbing contemporaneo è proprio l’assenza del ballo in pista, per quanto possa suonare paradossale. Pare che la gente venga ai festival e nei locali per ascoltare la musica e fare video e foto, al massimo quindici secondi di mossette su un drop e poi si torna placidi a stare lì a fissare chi suona. Qui no. Qui i telefoni in aria sono davvero pochi, nonostante non ci siano divieti e policy. Le mani sono per aria, la gente balla e ride e c’è quella frequenza comune su cui siamo tutti e tutte sintonizzati. Non si può non essere tirati in mezzo. Merito del dj come dei visual, minimali e in tema con la temporary label Nine To Zero, e merito delle coreografie che di tanto in tanto animano il palco, con performer che mi richiamano alla mente quelle connessioni tra musica, danza contemporanea e avanguardia artistica e teatrale che anni fa erano spesso compagne di molte serate nei migliori club e rave d’Europa. Resto per più di quattro ore perché mi sto divertendo, perché mi piace la musica, mi piace la vibe, il set è strepitoso, non c’è un disco fuori posto, pure nella brevissima pausa toilette (oh, in otto ore…) il pezzo che va in loop non è messo lì a caso. Ritrovo lo spirito del clubbing come dovrebbe essere, come l’ho sempre inteso, come penso debba essere: libertario, liberatorio, libero, senza aree VIP, senza diversi livelli di esclusività che creano diseguaglianze sociali (almeno qui), inclusività pura e naturale, una selezione all’ingresso che non esiste ma si forma da sé, perché se sei qui stasera, sai perché sei qui.
Sarei rimasto fino alla fine ma quando sento la stanchezza, so che è ora di andare. Sarà l’età, sarà la maturità, sarà la vecchiaia. Fate voi. A me piace tornare a casa elettrizzato quando vado a sentire un dj. Stasera c’era tutto: un set suonato benissimo, senza sbavature, con tecnica, con una selezione pazzesca, e un pubblico ricettivo intorno. Sono felice. Sono le dieci e mezza del mattino, scrivo queste righe e sono ancora felice. Clubbing is no hobby, diceva un fortunato claim di qualche anno fa. È vero. Clubbing is a state of mind. CLubbing is a way of life. È ciò che amiamo e ci rende vivi, e felici. Lunga vita a chi ancora sa portare avanti questi valori.
22.12.2024