Foto: ufficio stampa
okgiorgio, scritto così senzamaiuscoletuttoattaccato, è l’uomo del momento. Bergamasco, classe 1996, Giorgio Pesenti è esploso sullo scenario italiano come una bomba il sabato pomeriggio in centro. Un po’ dj, un po’ producer, un po’ musicista, follemente eclettico, okgiorgio ha portato una ventata di presa bene mescolando musica da club con infatuazioni UK, house, techno, acid, elettronica “evoluta” e una sana dosa di scrittura pop – ma hey, non stiamo parlando di canzoni da Sanremo, sia chiaro, “pop” è un mood, uno spirito – in uno stile unico in studio, e ancor più unico sul palco, dove si muove tra macchine, mixer, tastiere e chitarre, suonando pezzi suoi e remix (fatti talvolta proprio live). Uno show tutto suo che ha conquistato i club italiani con sold out clamorosi ed è ora in navigazione in Europa, dove sta riscuotendo consensi universali.
Sul lato discografico, dopo i singoli ‘ok: )’, ‘okokok’ e l’EP ‘ok?’ (sì, tutto vero) è recentemente uscito con ‘scs’ (si può anche leggere “scusa”) brano prodotto insieme a un altro genio made in Italy, Crookers.
Proprio con Crookers (e con la collaborazione di Dwarf alle tastiere live) okgiorigo si è esibito a inizio marzo all’Arca, a Milano, in un memorabile set di cinque ore back to back. Una serata divertentissima e libera, di cui avremmo bisogno più spesso. Inutile dire che con premesse del genere, state per leggere un’intervista gustosissima e imperdibile, soprattutto se siete giovani intenzionati a fare della produzione di musica la vostra vita.
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Innanzitutto una domanda che può sembrare banale ma non è scontata: come stai?
Bene, sono felicissimo e grazie per avermelo chiesto. È un anno molto pieno di cose e tutte belle, quindi sono felice e credo si veda. Infatti quando mi dicono “sei sempre sorridente, preso bene” rispondo “come faccio a non esserlo?”.
In effetti sta andando tutto molto bene, direi. Il tour, in particolare, è un successone…
Un successo direi anche inaspettato in questi numeri e in questa dimensione, perché stiamo girando i club italiani ed europei e non sono posti piccoli. Il mondo dei club ha molte sfaccettature, e anche tipologie di pubblico diverse e non sempre sintonizzate sulla lunghezza d’onda dell’artista che suona. Ma devo dire che il mio è un clubbing positivo. Positivo nelle persone, nella vibe, nella risposta entusiasta del pubblico che è davvero caloroso. Ecco, “positivo” è una parola che mi piace “appiopparmi”.
Qual è la vibe di cui parli?
Vedo persone serene che vogliono ballare, sfogarsi ma senza tensione. C’è una presa bene generale molto naturale.
Ed è quello che trasuda dai tuoi video, l’ho toccato con mano ai Magazzini Generali e anche ad Arca nel tuo lungo b2b con Crookers.: si percepisce la “voglia”, la spinta molto spontanea nei tuoi set, forse soprattutto in quelli “estemporanei”, a sorpresa, tipo dopo i concerti o al mattino in luoghi non convenzionali. Come ti vengono queste idee? Sono tutte farina del tuo sacco o c’è un margine di strategia, o perlomeno di organizzazione?
I miei set estemporanei, come li chiami, nascono un po’ dall’idea degli after party, dall’inventare qualcosa che ci permetta di continuare la festa quando c’è la voglia e manca però la possibilità. È quella l’idea, non c’è una strategia di posizionamento o immagine, se è questo che intendevi. Invece, ovviamente, in alcuni casi la mia squadra – che ringrazio sempre – mi dà una mano a realizzare certe idee un po’ folli come la jam di synth, messa in piedi in poche ore, o come suonare la mattina dopo il mio concerto al parco dell’Idroscalo a Milano. Mi piace l’idea di provare a dire “facciamo di più, facciamo più musica” senza le sovrastrutture dei biglietti, l’organizzazione etc. Farlo gratis poi è un tema, ogni tanto è bello ricordarsi che non tutti possono spendere 20 euro o più per una serata. In un momento storico in cui tutto è sempre più costoso, penso sia giusto cercare di fare comunità, di creare una socialità differente, equa.
Oltre all’attenzione per il lato economico, per voler stare dalla parte del pubblico (che ti fa onore) c’è tutto questo discorso della “presa bene” che è interessante e credo sia un bel valore aggiunto a ciò che fai. Mi piace chiamare questo atteggiamento “presa bene music”, è proprio una specie di corrente, secondo me.
Sì, è un modo di fare molto naturale, mi sembra che in giro ci siano artisti che si siano stufati delle pose, mi piace questa attitudine. Ovviamente penso uno come Fred again.., ma anche a Phra Crookers, per dire, io come loro ho questa voglia di fare musica che coinvolga e senza troppe impostazioni da personaggio.
Hai nominato l’elefante nella stanza: spesso ti si paragona a Fred again..; a me personalmente più che per l’atteggiamento nei live piace proprio accostarvi, se devo farlo, per un percorso piuttosto simile che avete, dalla gavetta alle produzioni per altri fino al successo solista, no?
Ma sai, questo fatto del “Fred again.. italiano” un po’ mi rincorre. Da un lato è un paragone lusinghiero, dall’altro infastidisce sempre essere il “qualcun altro” italiano. Ma poi penso “cosa me ne frega?”. Di sicuro la presa bene ci accomuna, è innegabile. Ma abbiamo in comune, come dici tu, una gavetta fatta di band in cantina, di produzioni per altri artisti. Nel mio caso, è noto, i lavori per i Pinguini Tattici Nucleari, la mia band Iside, ma tutto partiva dagli amici in cantina a fare produzione, quel modo di lavorare che si ha a vent’anni, quando pensi di aver capito il mondo anche se non è così, con l’attitudine da band per me è stato il momento magico, quello della volontà collettiva di inseguire qualcosa che si ama.
E adesso quel sogno sta diventando una realtà, direi anche molto più grande del sottobosco underground in cui ti muovevi fino a poco tempo fa.
Sì, a me piace arrivare a tante persone, non lo nego. Ma mi piace farlo a modo mio, voglio esplorare la nicchia e portarla nel mainstream: se posso infilare la nicchia nel pop è bellissimo, bisogna sovvertire i canoni. Io non voglio essere di nicchia, mi piace fare il pop, diciamolo, non è un peccato. Ma mi piace fare quello che io ritengo pop per i miei standard, resto fedele al mio suono e a ciò che mi fa emozionare, se poi arriva a tante persone sono contento, è più interessante che restare nella propria nicchia.
Cos’è la nicchia oggi? Tu sei nicchia o no?
La nicchia oggi è un concetto più sottile rispetto al passato. Le piccole bolle crescono rapidamente, se sono interessanti o hanno caratteristiche appetibili per un pubblico più ampio, ed esplodono. Se non lo sono, è più difficile, diventano una moda passeggera e scompaiono, molto spesso. Forse più che parlare di nicchia ha senso parlare, oggi come ieri, di “underground”, di quel sottobosco di idee che non si nutrono di popolarità ma di creatività.
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A proposito di creatività: ok il tour, ok l’album, ok ‘scs’ con Crookers, ma hai nuove produzioni in cottura?
Sto lavorando, ne ho tantissime e sto scegliendo come muovermi. Ho tante collaborazioni, non se confluiranno in un album, un ep o che altro. Non ho nemmeno una grande fretta, visto che disco e ora tour mi stanno dando notevoli soddisfazioni.
Mi racconti della tua carriera live?
È una bella domanda, perché tutto il mio percorso nasce nella dimensione live prima che discografica.
Come ti esibivi?
Era tutto molto anomalo: un amico mi proponeva dei dj set in una location estiva, io non sapevo fare il dj e avevo delle cose non pubblicate, quindi portavo synth e facevo delle jam e dei live o suonavo alcuni di quei pezzi, ma vedevo che la gente si prendeva bene, quindi ho iniziato a pensare di pubblicarle. Io sono più un artista live che un dj, ma dj set è divertente e incredibile. L’altro giorno con Crookers è stata una lezione incredibile.
C’era una sintonia esagerata tra voi, e anche con Dwarf che suonava la tastiera live, e una bellissima libertà nel vostro back to back.
Concordo totalmente, sono felice che si percepisse da fuori perché per noi è stato un bel viaggio, sbuffando tra i generi, poi Phra è davvero un maestro nell’arte di mettere i dischi, se ne usciva con cambi di direzione imprevedibili e folli ma assolutamente sensati, ho imparato tantissimo e mi sono sentito coinvolto nel set come in quei momenti da clubbing anni ’90, con il viaggio – adesso non vorrei dire una cosa scontata ed eccessiva – “sciamanico” del dj attraverso la musica.
Che cosa mi racconti del tuo tour?
È tutto bellissimo, so che sembra una frase fatta ma è davvero emozionante portare la mia musica in alcuni tra i migliori locali d’Europa con questa risposta. E in Italia devo dire che era tutto pieno di gente incredibile che si è molto divertita, un tassello di una cosa che sognavo, ma non tanto per i numeri quanto per la stanza piena di gente presa bene.
Vedi che ho ragione quando parlo di “presa bene music”?
Girare l’Italia in provincia e vedere persone che si sono entusiasmate dove di solito la musica “cool” non arriva, mi ha fatto capire che stavo davvero facendo qualcosa che ha una traducibilità sulla nazione, è un bisogno concerto, è stata un emozione forte, importante.
“Le dinamiche della provincia mi permettono di avere dei tempi che per me sono perfetti per come intendo la vita e la musica nel suo aspetto più quotidiano, artigianale. Ti faccio un esempio: se stasera non ho niente da fare, ascolto i dischi da solo, o con un amico, a casa, con un paio di birre”.
Hai detto una parola magica che un tempo era centrale nella narrazione della musica e oggi sembra scomparsa: provincia. Quanto è importante la provincia?
Per me al 100%, ho avuto un momento in cui volevo trasferirmi a Milano ma ho capito che lì avrei sofferto di un’omologazione che non era per me. Vivo a Bergamo e le dinamiche della provincia mi permettono di avere dei tempi che per me sono perfetti per come intendo la vita e la musica nel suo aspetto più quotidiano, artigianale. Ti faccio un esempio: se stasera non ho niente da fare, ascolto i dischi da solo, o con un amico, a casa, con un paio di birre. Oppure produco, ho del tempo che mi gestisco io. In città forse sarei troppo sociale, a Bergamo ho la mia bolla di amici e mi concedo dei tempi che in città non avrei. Poi mi rendo conto che la mia provincia è diversa da quella di un mio coetaneo che magari vive che so, a Foggia. Io in mezz’ora sono a Milano e posso andare a sentire un sacco di concerti, dj set, fare relazioni… fossi in un luogo più remoto sarebbe più faticoso. Però così sto bene.
I tuoi amici come vivono il tuo successo?
Parlavo di bolla e non a caso: i miei amici sono quelli di sempre, quindi mi conoscono abbastanza da fare il tifo per me ma senza farmi sentire arrivato, senza mettermi a disagio. Mi piace che se ci vediamo mi chiedono magari “allora, il tour?” ma poi finisce lì e si parla del lavoro di tutti e di cose nostre, senza menate o senza idolatria da rapporti di facciata. Che è un’altra cosa che amo di Bergamo e non sopporterei se stessi a Milano e uscissi perlopiù con gente che lavora nella musica, perché il rischio è di finire nel vortice di quella mondanità un po’ superficiale che mi fa perdere aderenza alla realtà.
Domanda banale ma che sono curioso di farti: progetti per il futuro? O meglio, sogni da realizzare?
Beh, potrei dirti che vorrei collaborare con i miei miti, Jamie Xx, Caribou… ma in realtà oggi posso dire che ancora meglio sarebbe fare della musica che ha il valore di arrivare più in alto del semplice “da ballare”. Mi spiego: adoro fare la musica che faccio e da club, ma vorrei alzare sempre l’asticella. Fare un disco con Jamie Xx forse non sarebbe un bene, perché i suoi dischi li adoro così come sono, magari io li peggiorerei. Mi auguro invece di fare dischi che possano essere apprezzati da gente così. Alla fine la cosa che mi auguro davvero è di non accontentarmi mai.
21.03.2025