A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, l’Unione Sovietica produsse dozzine di sintetizzatori, grezzi ma molto caratteristici. Ai tempi l’URSS era distaccata dalle tecnologie di sintesi che esplodevano in Occidente e le macchine che portavano marchi spesso accompagnati da stelle gialle su fondo rosso o falci e martelli risultavano uniche non solo nell’estetica ma anche nella ressa sonora. Insomma, diverse da qualsiasi altra cosa prodotta in quell’epoca. Suoni alieni, originali, tanto che alcuni produttori erano soliti dire che “arrivavano da Marte”.
Abbiamo spesso ammirato la bellezza di questi sintetizzatori da lontano ma abbiamo avuto difficoltà a provarli, testarli, suonarli. Magari li abbiamo trovati in qualche mercatino dell’usato a Berlino, per chi frequenta quelle città che hanno avuto una relazione con il blocco sovietico e che sulle bancarelle, nelle strade, espongono colbacchi e mercanzia per curiosi e nostalgici. Ciò che ne emerge, oggi, nonostante il loro aspetto freddo, è che questi sintetizzatori sono in grado di ottenere toni caldi, profondamente analogici, caratteristici e naturalmente riconoscibili.
Quarant’anni fa non c’era una vera industria audio, nell’URSS. Lo Stato controllava quasi tutti gli aspetti della produzione e non esistevano aziende tecnologiche musicali su misura per creare strumenti che i musicisti elettronici locali potessero poi usare. Invece, gli impianti di proprietà statale semplicemente fabbricarono apparecchiature come parte di un ampio programma per aumentare il volume complessivo dei beni prodotti per il popolo. Fortunatamente, molti degli ingegneri più brillanti della Russia erano piuttosto appassionati di tecnologia musicale e idearono proprie versioni di sintetizzatori: per contribuire alla quota statale di manufatti, nonostante la mancanza di domanda. Perché il cittadino sovietico medio semplicemente non poteva permettersi certe cose.
Poiché era difficile trovare equipaggiamenti americani e giapponesi, questi ingegneri avrebbero preso in prestito i synth dalle band occidentali in tournée sul territorio per apprendere nuove tecnologie e incorporarle nei loro progetti di synth. Questo spiega perché alcuni sintetizzatori sovietici, nonostante la loro natura unica, abbiano alcuni tratti… elettro-genetici condivisi con controparti occidentali. Non sorprende che questo singolare periodo di tempo abbia prodotto sintetizzatori che non sembra abbiano niente in comune con quelli che potevamo trovare nel resto del mondo. Ognuno di essi ha il suo distinto marchio sonoro: dal basso acido e marziale ai pad fortemente retrò, passando da accordi delicati e morbidi, sino ad arrivare a violini lo-fi o alle modulazioni spaziali.
Ma tutto questo rischiava di andare perduto come lacrime nella pioggia, per citare Blade Runner. Invece, oggi la Samples From Mars mette in commercio la replica di tutti questi synth suddivisi in 50 preset. Sono synth multicampionati da sei synth vintage dell’era che includono una batteria da 100 elementi, forme d’onda di base e tantissimo altro ancora. I synth campionati sono il Formanta Polivoks, l’Aelita, l’Altair 231, l’Estradin 230, il Maestro e il Tom 1501; le drum machine campionate sono la Formanta UDS, la LELL UDS e la RMIF ELISTA. Le registrazioni sono state pulite ed elaborate manualmente, una per una, con una varietà di apparecchiature di classe A. Sono 1,8 giga di materiale. Il costo è di soli 19 dollari.
Un nota a parte e finale va riservata al The Formanta Polivoks, di gran lunga il sintetizzatore russo più popolare, e per una buona ragione: è dotato di due potenti oscillatori, con forme d’onda a impulsi, modulazione FM incrociata e generatore di rumore. Questi sono tenuti insieme in un enorme case di alluminio, controllato da grandi pomelli. Ricorda qualcosa che sta in mezzo tra un Memorymoog e un Prophet 5, e chi ce l’ha oggi se lo tiene ben stretto.
24.09.2019