• DOMENICA 24 NOVEMBRE 2024
Interviste

Le due anime di Dardust dal vivo

Nuove date e grandi ospiti per il tour del musicista e producer

Foto: Alessio Panichi

Abbiamo intervistato Dardust alla vigilia dell’ultima leg di date del suo Duality Tour. Un viaggio iniziato ormai un anno fa, con l’uscita dell’album ‘Duality’ che vedeva l’artista portare a compimento un concept dove il pianismo più puro si completa nella sua controparte elettronica. Un progetto che a sua volta era il compimento di un periodo molto ben definito della carriera di Dardust. Non solo: Duality Tour è il completamento di questo percorso e la chiusura di un cerchio, con le ultime date di Civitanova Marche (29 novembre, Teatro Rossini), di Milano (12 dicembre, Teatro degli Arcimboldi), di Roma (Teatro Brancaccio, 24 gennaio 2024), di Bologna (Teatro Europauditorium, 29 gennaio 2024) e di Firenze (Teatro Verdi, 3 febbraio 2024). A cui seguirà, inevitabilmente, una futura apertura di una nuova fase della sua storia artistica.

Ma di tutto questo ci parla lui nelle righe che seguono e che leggerete dopo avervi ricordato che trovate date e biglietti del Duality Tour (dove non sono sold out) QUI.

 

Iniziamo dal tour, che segue un album denso. Cosa porterai sul palco, cosa prevede il concept di Duality?
Questo tour è l’ultima tranche del Duality Tour che ho già portato in giro per una trentina di date. È una versione diciamo ottimizzata, perché ci sono degli elementi ridiscussi e rimessi a punto nella scaletta, nei meccanismi scenografici e nella parte visiva, quindi è la continuazione del tour che ha seguito l’uscita dell’album ma allo stesso tempo è un tour rinnovato, con importanti elementi di novità.

È un tour che ti ha già dato grandi soddisfazioni, immagino.
Sì, è un tour coraggioso nell’approccio e in tutti i suoi aspetti, mi ha dato grandi soddisfazioni e questo è uno dei motivi per cui abbiamo voluto aggiungere queste altre cinque date. Perché il live è stato un modo per far comprendere e assimilare meglio l’album al pubblico. ‘Duality’ più che nei singoli pezzi è, nella sua interezza, un disco con un concetto molto preciso, che può risultare non prorio semplicissimo, talvolta; e quindi le due anime, che sono i due atti del concerto, del piano solo e e dell’elettronica emergono in modo netto nel live.

Ci vuoi spiegare i due atti del concerto?
Il primo atto è un concerto di musica classica contemporanea, piano solo, e richiede grande preparazione e concentrazione non solo per la musica ma perché c’è tutto un impianto teatrale che sposta lo show dalla tipica dimensione del concerto di musica classica contemporanea che di solito è qualcosa di molto minimale. Mentre il secondo atto ha un altro tipo di approccio, più tecnico, più complesso, con diversi strumenti, siamo in tre sul palco, il fattore scenografico assume un peso ancora maggiore, il pubblico si alza in piedi, il teato diventa un grande club, e quindi è un tour coraggioso, ma l’aspetto che mi regala le maggiori gioie è quello di vedere il pubblico uscire cambiato, toccato nel profondo, questo per me è un risultato eccezionale. Ne sono orgoglioso.

Foto: Virginia Bettoja

A proposito di approccio performativo, mi viene spesso in mente lo show che hai portato all’Eurovision a Torino, che per me fu qualcosa di grandioso, perché era tutto intrinsecamente tuo ma c’era la classica, il pop, la dance, un omaggio continuo a pezzi di altri artisti rivisti però in ciave strettamente dardustiana. In quella performance c’era già un seme del live di Duality?
Beh, ricodificare Giorgio Moroder o i Goblin sono cose che ho portato poi nel Duality tour, perché sono pezzi miei ma con camei e omaggi a tanti altri artisti, dai Goblin alla Notte della Taranta passando per Rossini, dal sample di ‘Cenere’ di Lazza a ‘Signore Del Bosco’ di Massimo Pericolo, un accenno ai Chemical Brothers… per certi versi questo tour è il riassuntone dei miei dieci anni di carriera, c’è dentro tutto, è la chiusura di un cerchio.

E da qui in poi?
Da qui in poi si torna ad un approccio totalmente diverso.

Cioè?
Sicuramente più rigoroso, più minimale.

Parlavamo di musica da club: ci sono degli artisti che ti piacciono, ti ispirano, nei dischi come nei live che vedi?
Ce ne sono tanti, il primo che mi viene in mente è Floating Points, l’ho sempre trovato ispirazionale in ogni cosa che fa, proprio nel suo approccio. Mi piace molto Iosnouncane per la sua visione. Altri nomi interesanti sono ad esempio Polo & Pan, Overmono, L’Impératrice, non vorrei essere scontato ma Fred again.. è senza dubbio uno blasonato. Ci sono tanti artisti che mi catturano e quando vedo set up complessi e originali mi piace complicare le cose e investigare nuove soluzioni. Mi piace esplorare le nuove possibilità sonore e nonostante nel mio show sia tutto in sync per ovvie ragioni di allestimento, mi piace fare in modo di avere sempre del margine per improvvisare e far succedere qualcosa di inatteso.

Foto: Virginia Bettoja

Hai diradato parecchio le tue collaborazioni da produttore, dopo essere stato per anni il deus ex-machina di innumerevoli successi del pop italiano più evoluto. Come mai?
Ho quasi azzerato le mie produzioni nel mondo pop e mainstream perché sono arrivato negli anni ad aver quasi saturato il mercato e a rendermi conto che dovevo fare un passo indietro prima che il mio suono diventasse inflazionato, sono consapevole di quanto sia stato presente in questi ultimi anni. Mi sono spinto oltre nelle produzioni su cui ho accettato di lavorare, con pezzi come ‘Cenere’ di Lazza; se n’è parlato tanto, di Lazza, del pezzo e della produzione, non capita spesso, no? Ecco, questo mi ha riacceso una scintilla in questa direzione, la voglia di stare nel mercato ma sfidandolo. Però sono anche molto attratto da nuove avventure come appunto le colonne sonore, la musica per il cinema, o anche i miei brani personali.

Ti sei sentito spinto oltre i tuoi limiti da brani come ‘Cenere’ ma direi anche come ‘Cocktail D’Amore’ di Mahmood, uscita qualche settimana fa?
Sì, certamente, sono canzoni che hanno elementi fortemente imprevedibili e addirittura “difficili” per gli standard del pop. Soprattutto con Mahmood l’abbiamo fatto tante volte, penso a ‘Soldi’, che ha vinto Sanremo con un suono molto poco catalogabile e certamente non stardard. Con lui mi va di fare cose sulla carta complesse che poi sono invece state recepite benissimo da un pubblico molto ampio. Stesso discorso ad esempio con Elodie: ‘Andromeda’ è un brano molto fuori dagli schemi del pop, molto coraggioso.

Chiudiamo con un element che per me è sempre importante in un live: i costumi.
Il mio costume di scena è uno splendido kimono disegnato per me da Tiny Idols, con le fasce luminose sulle braccia e i simboli di Duality, di tutte e 20 le canzoni del concerto, un mood molto giapponese anche se è un percorso contaminato, non ci sono reference geografiche e temporali precise, il costume racconta un viaggio fludio al di là delle categorie ed è lo specchio perfetto di ciò che voglio fare con la musica di questo show, ovvero sparpagliare le categorie, sparigliare le carte.

Come ti presentavi sul palco dieci anni fa, quando Dardust stava iniziando?
Piano, due synth, non c’era un costume. Dal secondo tour avevo già dei costumi e delle idee più precise sulla struttura dei concerti, ma è un’evoluzione che nasce di volta in volta, senza pensieri a lungo termine.

 

 

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