• GIOVEDì 24 APRILE 2025
Interviste

Le mille vite (artistiche) di Andro

Musicista di successo ma soprattutto, ormai, dj affermato e producer con i fiocchi: abbiamo intervistato uno dei nomi più caldi in circolazione

Foto: Andrea Bianchera

Pianista (a settembre sarà direttore artistico di Piano City Lecce insieme a Gloria Campaner), tastierista dei Negramaro, produttore (nei Negramaro e per tante e tanti artiste e artisti), autore, da poco titolare di GenUS, una label nata in seno ad Asian Fake.

Quella di Andrea Mariano, per tutti semplicemente Andro, è una parabola felice, una carriera lunga e fortunata frutto di uno straordinario talento, di una innata curiosità che si trasforma in versatilità, e in una pacatezza nei modi, nel pensiero, nella forma, che si trasforma in studio in una concretezza e una lucidità rare.

Basterebbe questo per fare di Andro un personaggio mitico (e lo è) nella storia della musica italiana. Ma invece, esiste un altro lato importantissimo e primario della sua vita artistica. Andro è un dj e un producer con i fiocchi, e questa diramazione della sua carriera lo sta portando a suonare in contesti di primissimo piano a livello mondiale: dall’Hï di Ibiza ad Afterlife Tulum, fino agli eventi firmati Zamna, con cui ha stretto orami una collaborazione su più fronti. Abbiamo passato un piacevole pomeriggio al Waveforms Studio, quartier generale di Andro a Milano, per una lunga chiacchierata in cui ci ha raccontato storia e progetti, passaggi cruciali e momenti salienti del suo essere dj e produttore.

 

 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 

 

Un post condiviso da ANDRO (@andro_id_)

 

Sei un dj e un produttore ma sei soprattutto un musicista, con una sua formazione e oltretutto con una storia importante e nota. Quando hai pensato “voglio fare il dj”? Da subito o è una vocazione arrivata dopo?
È arrivata dopo, perché da bambino ho iniziato a suonare il piano, conservatorio all’inizio, poi mi sono staccato presto per iniziare a suonare le tastiere con le band, da ragazzino, perciò ho vissuto quel percorso che conosci bene di gavetta, sale prove, concertini e studio. Però devo dire che mi ero appassionato quasi subito al lato elettronico dei miei strumenti, perciò computer, e sintetizzatori sono stati miei compagni di avventure da molto presto, e i primi software.

Quale programma usavi quando hai iniziato?
Usavo Reason di Propellerheads, parliamo di tanti anni fa, ma credo di vare ancora da qualche parte la “traccia zero”, il primo brano composto in assoluto. Incasellavo, comprimevo, uscivano suoni… ero in fissa con la dum’n’bass all’epoca quindi è uscita una cosa un po’ in quella zona. Da lì mi sono avvicinato ai vari software, i soliti: Cubase, Pro Tools… ho comprato il PC portatile, prima ancora del Mac che è lo standard, no? E da lì sono partite le prime collaborazioni, le prime vere tracce. Ricordo che Stylophonic mi chiese un remix, non stavo nella pelle!

Anni?
Sarà stato il 2006, 2007. Poi ricordo una mail di Jovanotti che mi chiese di remixare ‘Safari’, 2008, ci eravamo conosciuti grazie ai Negramaro naturalmente e si sera creta subito una bella vibe. Quel remix cambiò le carte in tavola perché Lorenzo ci credeva molto, lo usava come “sigla” di chiusura di quel tour e stampò anche il vinile, devo averlo ancora qui in giro.  Per cui lì per me si apriva uno scenario nuovo, la produzione – al di là di quello che già facevo con il gruppo – diventava un’ipotesi seria da prendere in considerazione, e mi piaceva questa idea. E nel frattempo era arrivato anche il primo ingaggio per un mio live set.

 

Riascolti mai quelle prime tracce?
Ma sai, col tempo ho imparato a valutarle con la giusta distanza, un po’ di affetto, ad apprezzarne il coraggio. Perché è chiaro che risentite oggi sono molto ingenue, per essere buoni, ma era un suono preciso, mio, provavo, sperimentavo ma con l’esperienza che nel frattempo avevo già da musicista.

Torniamo al 2008 e al tuo “primo ingaggio”, che fa sorridere pensando che già facevi i palasport con i Negramaro.
Il mio primo live è al Cocoricò, incredibile. Pochi mesi prima ero al Cocco e c’erano i manifesti di Claudio Coccoluto e ricordo di aver sognato di poter suonare lì. E poi viene accettata la proposta di questo live.

La tua prima data live da solista è al Cocoricò, quindi.
Sì. Una cosa che a pensarci oggi è fuori di testa. Mi ero preparato questa consolle per un vero live, quindi synth, pad, insomma tutto gestito dal vivo, senza nemmeno un computer, capito? Tutto proprio suonato, era una fase di incoscienza totale. La serata però va bene, tanto che vengo riconfermato per una data ad Halloween, e Ivan Gas, all’epoca direttore artistico del Cocoricò, dice che deve mettere la consolle al centro, con le luci, insomma una cosa da protagonista, io ero quasi preoccuparti. Poi da lì il mio Iive prende piede, tanto che suono in tanti tra i maggiori club italiani: Tenax, Baia, Matisse… faccio un vero tour, iniziano a girare le mie serate. A un certo punto ho aperto i concerti dei Prodigy, un misto di adrenalina e agitazione.

Eh. Com’è aprire per i Prodigy e stare in tour con loro?
Beh, loro mi sembravano molto tranquilli, gentili. La classica storia di chi sul palco è scatenato e poi nel privato è tutt’altro. Poi sai, non è che andavo a scocciarli, e ne stavo per i fatti miei. Le volte che ci ho avuto a che fare però mi hanno fatto diversi complimenti, erano cortesi e bend disposti. Il pubblico invece era per me un’incognita, questi volevano i Prodigy, difficile pestare come loro. Poi ho capito che quello che proponevo piaceva, era una sfida.

Senti, ma tutte queste tue attività non ti hanno mai creato attriti con i Negramaro?
No… no, perché è un circuito molto distante da quello del gruppo, forse l’unico punto di contatto è un remix dei Tale Of Us di ‘Fino All’Imbrunire’ nel 2018, una versione molto forte che suonarono una prima volta all’Amnesia qui a Milano e poi al Social Music City, e fu un bel successo. Se ne erano perse un po’ le tracce, peccato perchè si era espiato anche di pubblicarlo. Poi un paio di anni fa ero a Ibiza con Matteo – Anyma – e venne fuori quel remix, ne parlammo e poi fu una bella sorpresa vedere che l’ha suonato nel suo set al Kappa FuturFestival, anche lì con grande successo, chiaramente completamente rimaneggiato. Bello.

 

Ok, aspetta che così mi perdo nelle pieghe del tempo. Torniamo al 2010/’15, più o meno. Dopo quel periodo però sei un po’ sparito, nel senso che per un bel pezzo hai diradato la tua presenza nei club, forse in favore del lavoro con la band, o sbaglio?
In realtà per anni ho prodotto diverse tracce e colonne sonore per sfilate e per eventi di brand, che paradossalmente mi permettevano di essere più libero di quanto non lo fossi nel mondo dei club, perché invece c’erano questi steccati dentro cui i promoter volevano spesso incasellarmi per comodità: minimal, tech house… invece i lavori su commissione mi davano ampia libertà. E mi sono trovato anche in situazioni fighissime, ad esempio nel 2015 in una serata incredibile a Milano con Fatboy Slim, con questo palco sospeso a diversi metri di altezza.

Ma non ti mancava un po’ quel mondo che avevi assaggiato?
Mi mancava ma preferivo sperimentare sottobraccio, mi ero messo a pubblicare brani con vari pseudonimi, un po’ per ritrovare una dimensione autentica e un po’ perché volevo testare diverse cose e l’anonimato mi permetteva di farlo nel modo meno “viziato” possibile. È un periodo che ho chiamato “palestra” perché tramite un servizio di PR di promo ho potuto promuovere queste tracce in modo anonimo e regolare, con 2/3 tracce al mese con cui ho tirato fuori tutto il mio know how creativo senza troppi riferimenti stilistici, anche se un po’ guardavo al mondo Innervisions, Diynamic, Get Physical.

E invece nei club?
Nei club ho frenato perché non trovavo più le condizioni ideali per suonare quello che volevo e come volevo, sai cosa intendo, no? Quando passa un momento e non ti ritrovi più nel sud ma soprattutto nelle dinamiche dei locali. Ho tenuto botta per un po’, dopodiché c’è stato un cambio drastico e rapido per cui mi sono visto cambiare pubblico ed esigenze, era diventato tutto molto più commerciale. Io intanto dal live ero passato ai dj set ma non mi piaceva l’ambiente che avevo intorno. Probabilmente sono io che ho iniziato seriamente a fare il dj mentre stava finendo un periodo molto bello di techno, di house, e iniziava un’epoca fatta di star di talent e reality, non era decisamente il mio.

E come hai risolto?
Ho fatto qualche data all’estero, fortunatamente non era un problema di sopravvivenza, per così dire, e non sono nemmeno uno che deve andare a caccia di serate a tutti i costi, quindi andava anche bene stare fermo, nonostante tutto.

Foto: Flavio&Frank

Ma il richiamo della foresta…
Ultimamente sono stato ributtato nella mischia, in particolare grazie a Gigi Urso, personaggio leggendario, basti pensare che è tra i fondatori di Zamna, Social Music City, Off Week, è dietro l’enorme lavoro di management degli eventi Afterlife… insomma, parliamo di un fuoriclasse, dovrebbe scrivere un libro sulla sua vita e farci una serie TV. Una persona molto coraggiosa e lungimirante. Con lui ci conoscevamo da tempo ma ci siamo avvicinati e mi ha proposto di suonare agli eventi Zamna. Mi piace la sua mentalità, Gigi intende Zamna come una grande famiglia e le collaborazioni sono forti, dallo studio si passa alla consolle alla progettazione di eventi, insomma ho visto uno sbocco creativo interessante e stimolante. Nel giro di poco ho visto i miei dischi nelle mani di gente impensabile e viceversa ho ricevuto addirittura provini di gente enorme, quindi è proprio una figata, e allo stesso tempo mi sento a mio agio, abbracciato da un ambiente creativo ma sereno, in cui non avere tensioni.

Ti sei trovato in un flusso di cose notevoli, diciamo.
Sì, perché sinceramente non era previsto suonare all’Hï di Ibiza, a Tulum, o alle serate Afterlife. Parliamoci chiaro, non voglio fare l’umile o il modesto, ma mi sono trovato in situazioni davvero giganti. E senza fare troppi programmi, perché se in passato avevo provato a costruire meticolosamente tanti tasselli sulla lunga distanza, qui mi sono reso conto che l’importante è lavorare bene e poi le cose, se sai gestirle, succedono.

Ma questo – senza nulla togliere a tutto ciò che hai fatto e che sei – non è anche frutto di essere già comunque una persona importante nell’ambito musicale?
Ma guarda, la rete di contatti è importante e certamente sul mio lato dj e producer non sono partito proprio da zero. Però il talento lo devi avere, e devi sapere fare le cose in questo preciso settore che è diversissimo dal circuito pop, e devi sapere bene chi sei e dove stai andando se non vuoi perderti. Perché ci vuole davvero poco per fare una cazzata fuori luogo. La stima e la fiducia te le guadagni sul campo. Io non ho mai chiesto di suonare o di pubblicare per Zamna, per dire, capito? Sono cose arrivate nel tempo in maniera estremamente naturale.

 

Ti piace tessere relazioni?
Moltissimo, io amo non buttare via le giornate, non sentirmi in colpa per non aver fatto niente, e amo stare in studio, questo poi costruisce delle relazioni. Capita che diversi artisti di passaggio a Milano vengano da me al Waveforms per delle session, poi non è detto che diventino brani, per carità, ma sono momenti di condivisione di musica, è la nostra passione. Per cui in qualche maniera sono giornate di ispirazione, e ne faccio tesoro. E poi qualcosa resta, e infatti, come ripeto, poi le cose succedono.

Come fai a rimanere stimolato?
È una bella domanda. Io cerco di venire in studio ogni giorno o quasi, almeno per suonare o buttare giù idee. Poi non ho la pressione di dover fare le hit come producer dei miei pezzi, quindi me la vivo bene, con la creatività come unico obiettivo.

Non senti la guerra dei numeri, della performance da piattaforma?
No, no. Sono felicemente libero di produrre ciò che mi pare, sono attento a ciò che succede nel mondo sonoro che mi interessa ma non sono schiavo dei numeri delle piattaforme. Lavoro con i Negramaro, lavoro come produttore di musica pop e urban per sempre più artisti, Asian Fake mi ha chiesto di aprire una label, GenUS, il primo artista in roster si chiama Gabrix: questi sono le parti del lavoro in cui sento – giustamente – maggiore pressione. Quando ho la testa nelle mie produzioni da dj, mi sento molto più rilassato.

Questa contaminazione tra pop e club quanto è importante per te?
Per me tanto, ovviamente. Ma vedo che è importante soprattutto per chi lavora con me, e mi fa immensamente piacere.

Cioè?
Noto quanto è considerata la mia esperienza: quando lavoro con la gente del giro Zamna vedo che sono interessati al songwriting, magari, perché posso portare loro una scrittura più sfaccettata e compiuta; viceversa i ragazzi del mondo pop e urban vedono nella mia sfera da club una controparte funzionale importante. Mi fa molto piacere tutto questo, perché nella mia testa sono sempre il ragazzo di vent’anni con la voglia e l’incoscienza, ma attraverso gli altri scopro di essere invece un musicista con una bella e lunga esperienza.

E con il pubblico che rapporto hai (parlo come dj)?
Molto bello e direi sorprendente, perché ci sono tante persone che dopo i set che mi chiedono foto, titoli dei brani, che mi conoscono… non lo do per scontato, soprattutto perché all’estero non sono un nome così grosso.

Cosa ti riserverà quest’estate? Ibiza?
Non lo so, guarda. Davvero non so dirti, ma non è per fingere mistero o quelle cose lì… come ti ho detto mi sono capitate date impensabili e spero capiti ancora tante volte, in questo momento non ho nulla di pianificato quindi meglio non sparare a caso.

 

 

 

 

Articolo PrecedenteArticolo Successivo
Albi Scotti
Albi Scotti
Head of content @ DJ MAG Italia
La tua iscrizione non può essere convalidata.
La tua iscrizione è avvenuta correttamente.