Eccoci alla seconda parte del nostro speciale sul mastering. QUI trovate la prima. Luca Pretolesi da Las Vegas è ormai un nome blasonato in tutto il mondo, e ci racconta: “Chiaramente curo io miei mastering. In alcuni casi masterizzo direttamente i miei mix. In certi casi masterizzo solo il mix di altri. Lo faccio io con il mio gruppo di Studio DMI, con cui facciamo circa 600 mastering all’anno”.
Alex Picciafuochi, già collaboratore di The Dub, brand discografico della famiglia Coccoluto, dopo un lungo trascorso da producer e audiofilo, quasi filosofeggia: “Il mastering rappresenta la mia principale passione ed occupazione, ho un approccio filosoficamente vicino a quello di Michelangelo che vedeva nei blocchi di marmo una figura intrappolata e il suo unico scopo era di liberarla”.
Fino a qualche anno fa Rexanthony si rifaceva a uno studio esterno, sia per le proprie produzioni che per quelle degli artisti prodotti all’interno della sua scuderia, la Musik Research. “Purtroppo a causa della grande richiesta di questo servizio i tempi di consegna dei mastering diventavano sempre più lunghi, inoltre mi stavo rendendo conto che non sempre i lavori ricevuti soddisfacevano le mie aspettative. Da qui l’idea di tornare a lavorare sul mastering in totale autonomia all’interno del mio studio, sfruttando nuove potentissime tecnologie”.
Prosegue Camillo Corona: “Quando lavoro su progetti importanti preferisco affrontare la fase di mastering in maniera ibrida sia in digitale, per effettuare correzioni di precisione, che in analogico, per ottenere il colore ed il calore dell’hardware, e preferisco farlo in uno studio che si occupi di questo lavorando insieme al fonico residente per far si che si evidenzi il risultato ottimale del progetto in questione. A volte capita anche che in progetti dove non c’è molto budget mi viene chiesto di effettuare il mastering, in quel caso lo faccio interamente in the box nel mio studio”.
Con TeetoLeevio possiamo sfatare per l’ultima volta il mito: un pessimo mix può portare a un pessimo mastering. “Assolutamente. Il mastering è tutto nel mix e ancora prima nella produzione. Se la produzione è scarsa, non c’è mix che tenga. Se il mix è scarso, non c’è mastering che tenga. Tutti cercano subito il massimo volume in ogni singola traccia, fino dalla produzione. Se fai così e magari sei tutto VST / ITB, semplicemente è tecnicamente impossibile raggiungere un livello di loudness world class e… triterai tutto e basta. Mettiti il cuore in pace: non ci arrivi. Non esiste il ‘Miracolizer’ nel mastering”.
Pretolesi entra nel contesto: “Dal mio punto di vista, il mastering non dovrebbe mai cercare di reinventare il mix bensì dovrebbe elevare la qualità o la visione del mix stesso rispettando lo stile musicale e gli standard estetici o spazi che si vogliono creare, e destinando il tutto verso il club o la radio, con più transienti per i club. In linea generale, il mastering dovrebbe essere è un’evoluzione del mix e non un reinventare un mix”.
Picciafuochi rincara: “Il mastering può risolvere svariati tipi di problematiche ed errori ma non può prescindere da un buon mixaggio; un conto è dare il giusto bilanciamento alle varie frequenze, un altro è ottimizzare individualmente gli elementi che compongono l’arrangiamento. Ne guadagna non solo il suono ma anche l’espressività del brano”.
Walter Mangione del duo Watt&Jack racconta di un mix effettuato con leggerezza che non avrà mai un mastering che lo potrà migliorare. “Il mastering enfatizza le qualità migliori di un brano e attenua i difetti, in questo modo fa risaltare ciò che di buono c’è nel brano. Se la fase di mixing porta a un prodotto scadente, il mastering enfatizzerà proprio questa caratteristica, rendendolo ancora più sgradevole”.
“Confermo al 100% la tesi a livello tecnico ciò può fare la differenza sul prodotto finale non è il mastering ma il mixing”, dice Rexanthony. “Noi in alcuni casi offriamo anche il servizio mastering e confido che ci troviamo spesso costretti a dover rimandare al mittente il file audio in quanto pieno di errori tecnici da correggere”. Camillo Corona: “L’errore? Che se c’è qualcosa che non funziona in fase di mix si pronuncia la fatidica frase ‘tanto poi si sistema in mastering’. Il mix deve essere già quello che abbiamo in testa e il mastering deve dare qualcosa in più, quindi un valore aggiunto. Si deve arrivare nella fase delicata di mastering con un mix che soddisfi”.
Chiariremo ancora meglio questi e altri dettagli nella terza e ultima parte dello speciale.
18.03.2022