Il djing è un’arte, l’arte di saper catturare l’anima del pubblico in fronte a te e di trasportarlo dove vuoi a ritmo della tua musica. Stare dietro la consolle, vivere quell’atmosfera intensa, sentire quelle emozioni forti nell’aria e condivise, come se a un certo punto si diventasse un tutt’uno, è incredibile. Ma è bene ricordare che, come in ogni tipo di arte, ispirazione, passione, grinta e fantasia sono necessari, ma non sufficienti per ottenere ottimi risultati: ci vuole anche tecnica e consapevolezza di ciò che si fa! Perciò sono qui per illustrarvi degli elementi di teoria che ritorneranno utili a molti dj durante le loro performance. Ciò di cui parlerò saranno argomenti di psicoacustica, con il fine di indirizzarvi verso un uso più consapevole dei filtri dell’equalizzatore, per un mixaggio pulito e senza brutte sorprese.
Prima di iniziare, vi vorrei ricordare che un paio di cuffie adatte per il mixaggio e dei monitor professionali sono indispensabili per un giusto ascolto del suono in uscita, per poterlo percepire fedelmente nella totalità del suo spettro. Che voi siate semplici appassionati o lavoratori nel mondo della musica, saprete probabilmente che le orecchie umane sono in grado di percepire una gamma di frequenze compresa tra 20Hz a 20kHz. Perché proprio questo range?
Il principale motivo, senza dilungarci in spiegazioni esageratamente tecniche, è la grandezza del padiglione auricolare: un elefante, con un orecchio enorme, potrà ascoltare fino ai 17Hz, mentre un delfino, con delle orecchie molto piccole, che si dicono quasi invisibili, raggiungerà incredibilmente i 200kHz. Fantastico. Ma ritornando al nostro range, da 20Hz a 20kHz, vorrei precisare che ogni suono occupa un determinato spazio all’interno dello spettro, ma ognuno lo fa in modo “diverso”. Vi propongo un semplice esperimento da fare a casa: usando un qualsiasi synth della vostra DAW, suonate un tono puro a una frequenza di 60Hz e poi uno a 61Hz; dopo provate con uno a 6000Hz e uno a 6001Hz. Quello che noterete è che nel primo caso sarete in grado di percepire chiaramente la differenza tra i due toni, mentre nel secondo caso no. Perché?
Il motivo di ciò è la nostra percezione logaritmica del suono: più le frequenze sono gravi, più sono “grandi” e spaziate, pensatele così; quelle più alte tendono invece a diventare “piccole” e ad “avvicinarsi” tra loro, fino a diventare impossibili da distinguere su intervalli ristretti. Questo ci può dare un’intuizione per comprendere perché, ad esempio, due linee di basso di due tracce diverse, se sovrapposte, entrano in una sorta di “conflitto”: essendo molto “grandi”, percettivamente e acusticamente parlando, oltre che creare un dissonanza fastidiosa (specie se i due bassi non sono nella stessa chiave), si crea un suono infangato, oserei dire cupo e probabilmente anche distorto; se questo avviene invece su alte frequenze, il risultato è sicuramente più gradevole e meno tedioso. Vorrei a tal proposito ricordare che i suoni più gravi hanno bisogno di una maggiore pressione sonora (Sound Pressure Level) per essere percepiti allo stesso volume di frequenze più alte, perciò quando vengono sommati insieme, generano in uscita un SPL troppo elevato, il che non ci piace perché noi miriamo ad un suono “pulito” ( se volete approfondire date uno sguardo alle “curve isofoniche”).
Un altro fenomeno interessante che vorrei introdurre è quello del “masking”: secondo quest’ultimo, un tono ad una certa frequenza e ad una certa SPL, genera come una vera e propria “maschera” sulle frequenze limitrofe, le quali possono essere percepite solo se superano una certa soglia di SPL. Non è chiaro? Provate quest’altro esperimento: suonate un tono a 1Hz a 60 dB; poi suonatene un altro ad una frequenza “vicina”, per esempio a 1100Hz, ma aumentando gradualmente il suo volume: vi accorgerete che sarete in grado di percepire quest’ultimo tono solo quando avrà raggiunto o superato la cosiddetta “masking threshold” (potete vederla in figura), perché al di sotto di questa il suono sarà mascherato e non udibile! Al contrario un tono situato all’infuori della suddetta “maschera”, sarà tranquillamente percepito anche ad un SPL molto basso.
Date queste piccole chicche di teoria, ci viene più semplice capire qual è il modo più corretto di utilizzare le bande dell’EQ della nostra consolle, pur restando comunque dell’idea che l’EQ è uno strumento creativo oltre che correttivo, per cui c’è sempre una certa libertà sulle scelte del suo impiego. L’equalizzazione ci permette di bilanciare le frequenze della traccia in relazione alle altre: quando si tagliano le frequenze indesiderate e se ne potenziano altre, laddove necessario, si aumenta la chiarezza, si mantiene costante l’energia e il “colore” tra due brani consecutivi. Per esempio, se la traccia manca di brillantezza è bene dare un guadagno al filtro “high shelf”; se invece si ha il fenomeno del masking è bene togliere presenza al suono mascherante se si vuole dare spazio a entrambe le parti della strumentazione; in generale sulle basse frequenze è bene, nella maggior parte dei casi, eseguire un taglio sulle basse con un high-pass lasciando una sola linea di basso, per evitare rimbombi o un suono distorto; nel passaggio tra due tracce bisogna prestare attenzione al corpo del suono, per far si che risulti il più possibile “simile” a quello della traccia precedente, andando perciò a potenziare le frequenze mancanti.
Ma come dicevo l’EQ è uno anche uno strumento creativo, perciò è anche interessante sperimentare, o se vogliamo, “giocare”, con i filtri: ad esempio si può far entrare una traccia con un filtro che lascia presenti solamente i bassi, rivelando gradualmente le frequenze più alte, un pò come se il brano “stesse emergendo dall’acqua” o, al contrario, far entrare una traccia con un filtro passa alto sovrapponendo per prima la linea melodica. Abbiamo visto come l’ EQ svolge una funzione correttiva e creativa, soprattutto orientata alla qualità, ma vi raccomando ad ogni modo, che si tratta sempre di uno strumento da usare con parsimonia.
14.04.2021