Foto: @facebook.com/zhu
Mentre il mondo della musica cerca disperatamente autenticità, ZHU, artista enigmatico e visionario, ha deciso di aprire un varco nel suo processo creativo con il film ’24 Hours of Grace’, un documentario che non è solo una finestra sulla registrazione del suo ultimo album bensì un viaggio senza censure nelle ombre dell’industria musicale. Girato, prodotto e sceneggiato dallo stesso ZHU, il progetto rompe ogni schema: niente narrazioni edulcorate, niente pose da social media. Solo 24 ore di riprese in tempo reale, tra studio di registrazione, tensioni artistiche e momenti di pura follia.
Il film, già definito “un pugno allo stomaco” dalla critica, mostra come un album non nasca da algoritmi o trend, ma da sudore, conflitti e ossessioni. ZHU, noto per il suo anonimato iniziale e i sound ipnotici, qui si svela in modi inaspettati: non c’è traccia del personaggio misterioso, solo l’artista che lotta con se stesso, i collaboratori e il clock che segna il countdown. Scene di improvvisazione musicale si intrecciano a dialoghi crudi su burnout, pressione commerciale e il prezzo della fama.
Il tutto filmato con uno stile volutamente grezzo, tra inquadrature strette e luci fluorescenti che esaltano l’atmosfera claustrofobica. Ma perché rischiare di mostrare il dietro le quinte in un’era in cui tutto è curato? “Volevo uccidere l’idea del musicista come avatar perfetto”, ha spiegato ZHU in una rara intervista. “Se non mostri le crepe, menti”, ha aggiunto da una stories via Instagram. E le crepe qui sono protagoniste: errori tecnici, discussioni accese, persino un momento in cui l’artista abbandona lo studio sbattendo la porta.
Il film, però, non è una condanna, ma un inno alla resistenza creativa. Dal caos emergono brani che hanno già conquistato le classifiche, dimostrando che la bellezza spesso nasce dal disordine. Per gli addetti ai lavori, è un caso studio su come innovare la narrazione artistica; per i fan, un accesso VIP al lato più umano di un mito. C’è chi lo ha accusato di essere un’operazione di marketing, ma i numeri parlano chiaro: il documentario, distribuito in piattaforme indie, ha triplicato le visualizzazioni previste, mentre l’album ha debuttato al top su Spotify. ZHU, intanto, prepara già il prossimo colpo: “Ho imparato che la verità vende più della finzione. Ora tocca agli altri seguire”.
26.02.2025